Comunità bangladese di Milano

Esistente dal 1985
Religione Islam, Buddhismo
L’immigrazione bangladese in Italia e a Milano
È alla fine degli anni ’80 del XX secolo che l’emigrazione dal Bangladesh, indirizzata in precedenza soprattutto verso Gran Bretagna e Nordamerica, approda con numeri consistenti anche in Italia. Il flusso è andato aumentando dopo la caduta del Muro di Berlino, quando la Germania e i Paesi nordeuropei hanno ristretto le proprie politiche di accoglienza. Attualmente, la collettività bangladese in Italia è la seconda in Europa dopo quella del Regno Unito. Concentrata soprattutto in tre regioni (Lazio, 29,8%; Lombardia, 15,4%; Veneto, 15,0%), essa è cresciuta in modo rapido, passando dalle circa 5.000 unità nel 1992 alle oltre 132mila del 2017.A Milano molti bangladesi hanno cominciato ad arrivare da Roma nella metà degli anni ’90.
Le presenze in città sono progressivamente passate da 15 nel 1985 a 536 nel 1997, a 8.600 nel 2017. La maggior parte di loro è originaria delle aree rurali del Madaripur, generalmente povere e scarsamente alfabetizzate, mentre chi proviene dalle grandi città come Dacca o Comilla possiede di solito livelli di istruzione e censo più elevati. La prima occupazione è quasi sempre il commercio ambulante, che si appoggia a grossisti bangladesi (nei settori della bigiotteria e di accessori quali ombrelli e occhiali), cinesi (per l’oggettistica varia e l’abbigliamento) o italiani (fiori). In particolare, la vendita di fiori è un segmento di mercato in cui prevalgono gli immigrati del Madaripur e del Noakhali. Nel 2017 la Camera di Commercio di Milano ha censito 2.776 imprese con titolari bangladesi, delle quali 2.504 di commercio all’ingrosso o al dettaglio. Dando uno sguardo alla situazione nazionale, le statistiche del Ministero del Lavoro (2017) ci dicono che ha un lavoro il 64% della popolazione bangladese in Italia, con una significativa differenza tra maschi (85,1%) e femmine (10,3%). Il settore di impiego prevalente è il commercio, che accoglie il 60,9%; segue l’industria con il 19,9% dei bangladesi occupati in Italia. 30.580 sono i titolari di imprese individuali di origine bangladese, pari all’8,3% degli imprenditori non comunitari presenti nel nostro Paese, con un incremento del +6,2% rispetto al 2016. La comunità bangladese ha una “polarizzazione di genere” tra le più marcate in Italia: le donne rappresentano solo il 27,2% del totale. Il fenomeno si spiega col fatto che, spesso, il marito chiede il ricongiungimento solo quando ha raggiunto una solida posizione economica, quindi parecchi anni dopo l’arrivo nel nostro Paese. Altro dato notevole è l’età media degli appartenenti alla comunità, pari a 29 anni: nettamente inferiore a quella rilevata sul complesso della popolazione non UE.
Il “piccolo Bangladesh” di piazza Caiazzo
A Milano c’è un quadrilatero di strade - racchiuso tra le vie Gaffurio, Benedetto Marcello, Vitruvio e Settembrini, e con il vertice in piazza Caiazzo – che è ormai riconosciuto come “piccolo Bangladesh”. Gli stessi bangladesi, che il sabato mattina si affollano in quest’area per lo shopping settimanale, lo chiamano familiarmente “Banglatown”. La mutazione che ha portato questo quartiere ad assumere una “connotazione etnica”, come si dice nel gergo sociologico, è avvenuta nel decennio 1995-2005, ma l’inizio del processo è anteriore. Già alla fine degli anni ’80, i grossisti italiani della zona (tessuti, complementi d’arredo e accessori d’abbigliamento) contavano tra i propri clienti un gran numero di ambulanti senegalesi e magrebini.
La vicinanza alla stazione Centrale e al quartiere del Lazzaretto (già dotato di una sua connotazione etnica per la frequentazione da parte della comunità eritrea) hanno rafforzato il richiamo per gli stranieri. Va aggiunta, nello stesso periodo, la presenza dell’Indian Cafè in via Pergolesi, che impiegava lavoranti indiani. Negli anni ’90 oltre alla gestione degli esercizi commerciali ha messo radici la residenza, con i primi insediamenti di immigrati, in particolare del Bangladesh, in piccoli appartamenti di proprietà di italiani.In pochi anni la colonia è cresciuta, non senza qualche episodio di sovraffollamento e di speculazione da parte degli affittuari. A metà anni ’90 sono apparsi i primi servizi di telefonia internazionale e di money transfer. Nella zona sono quindi arrivati anche i cinesi: grossisti in concorrenza con quelli italiani e un negozio di alimentari subito frequentato da africani e bangladesi. Nel 1997 ha aperto il primo phone shop bangladese, che è stato l’avvio per altri esercizi quali alimentari, mini-market e rosticcerie.
I grossisti bangladesi, soprattutto di bigiotteria, si sono così affiancati a quelli italiani, soppiantandoli a poco a poco. I loro clienti sono soprattutto connazionali e pakistani, indiani, magrebini, senegalesi, mentre i cinesi si riforniscono di solito nei propri negozi.
Bangladesi e non solo: la rinascita del cricket
Il cricket, portato in Italia dagli inglesi già a fine Ottocento insieme al calcio, ma rimasto fino a tempi recenti uno sport d’élite, gode in questi ultimi anni di un ritorno di attenzione. La rinascita è legata proprio all’immigrazione proveniente dal Bangladesh e dagli altri Paesi asiatici del Commonwealth britannico (India, Pakistan e Sri Lanka), dove è il gioco più praticato e popolare. Nel campionato italiano di serie A militano sei squadre e quella meneghina, il Milan Kingsgrove Cricket Club, vanta tre scudetti, conquistati nelle stagioni 2014, 2015, 2017. Al pari degli avversari, anche il team milanese si compone in prevalenza di giocatori bangladesi, srilankesi, pachistani e indiani, e di una minoranza di italiani, anglosassoni e caraibici. Presidente del club è la srilankese Thilini Indipolage, laureata in ingegneria al Politecnico di Milano e anch’essa giocatrice. In città non esistono strutture attrezzate per questo sport, pertanto le partite ufficiali si disputano al momento presso l’unico campo regolamentare della provincia, quello di Settimo Milanese.