Comunità peruviana di Milano

Esistente dal 1980
Religione cattolica, evangelica
È la quarta comunità residente a Milano: gli immigrati peruviani sono, da oltre trent’anni, presenti e radicati in Italia.
La loro patria si estende su un territorio immenso dell’America del Sud: è il terzo Paese in ordine di grandezza, dopo Brasile e Argentina, e tra i venti più estesi del mondo. Affacciato sull’Oceano Pacifico, con numerosi ecosistemi e una fauna e flora tra le più ricche del globo, il Perù o Birú, come lo denominò lo spagnolo Francisco Pizarro a metà del 1500, dal nome di un fiume che scorreva nei pressi del Golfo di San Miguel (Panama), è costa, sierra e selva. La Cordigliera delle Ande lo taglia in due, nel suo territorio ci sono foreste amazzoniche e altopiani, il 4% delle risorse idriche del nostro pianeta e sul Nevado Mismi, montagna di origine vulcanica di 5.597 metri, nel sud delle Ande peruviane, si situa la sorgente più lontana del Rio delle Amazzoni.
Un Paese che è caratterizzato da una mescolanza di etnie e culture: amerindi, europei, africani e asiatici; parlano spagnolo e, talora, quechua, o altre lingue native; è in maggioranza cattolico, con una forte presenza evangelica. Il popolo peruviano è molto religioso e mantiene in sé elementi di culti inca, come quello per la Pachamama, la Madre Terra, credenze fortemente collegate alla terra che si innestavano in un mondo in cui i cicli delle stagioni, il sole e la pioggia, erano vitali per la sopravvivenza di genti dedite allora per lo più all’agricoltura e all’allevamento.
Il movimento indipendentista peruviano nacque dall’insurrezione dei proprietari terrieri ispano-americani guidati dall'argentino José de San Martìn e dal venezuelano Simòn Bolìvar. Il Perù venne dichiarato Paese indipendente il 28 luglio 1821 da José de San Martín. Nel 1824 Simón Bolívar terminò il processo di liberazione con le guerre di indipendenza. Ma fu soltanto nel 1879 che la Spagna riconobbe l’indipendenza del Paese.
Il fenomeno migratorio ha origini antiche, ma quello massiccio si situa tra la fine degli anni Ottanta e tutti i Novanta dello scorso secolo, durante la presidenza di Alberto Fujimori, che con l’”autocolpo di Stato” del 5 aprile 1992 sciolse il Parlamento e introdusse la legge marziale, portando al collasso il Paese. Nel novembre 2000 Fujimori, in Brunei per il summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC), non ritornò in Perù. Dal Giappone rinunciò alla presidenza via fax. Fujimori fu accusato e condannato per violazione dei diritti umani (omicidi commissionati, rapimenti, sterilizzazioni forzate, violenze e torture). Tra il 1980 e il 2000 si assistette anche agli scontri tra lo stato peruviano e i militanti di Sendero Luminoso, guidati da Abimael Guzmán, e il Movimiento Revolucionario Túpac Amaru (MRTA), comandato da Víctor Polay Campos. La Commissione di Verità e Riconciliazione (2000) stimò in 70.000 i cittadini morti per le guerre e gli attentati, per lo più nelle zone andine e quechua-parlanti.
La migrazione interna per la sopravvivenza, dalle campagne alle grandi città, soprattutto alla periferia della capitale Lima, non era sufficiente: la crisi economica e sociale portò alla necessità di espatriare.
Le mete erano la Spagna e l’Italia, dopo che gli Stati Uniti, più vicini territorialmente e più ricchi, misero in atto politiche restrittive di ingresso. I due Paesi europei erano ottimali sia per la lingua che per la religione. L’Italia poi contava in Perù una colonia straniera tra le più numerose: circa 13.000 italiani nel 1927, impiegati nelle industrie e nei commerci. A Milano arrivarono per passaparola, ricongiungendosi a familiari o ad amici già partiti: la migrazione fu, agli inizi, al 60% femminile e di età medio alta, con donne impiegate come collaboratrici familiari, badanti, infermiere, commesse. Solo in seguito si attuarono ricongiungimenti familiari o si assistette alla nascita di nuovi nuclei familiari.
Il Nord Ovest italiano ospita il 60,3% di tutti i peruviani presenti in Italia: Milano è la meta privilegiata, seguita da Roma, Torino e Firenze, considerata ormai la seconda patria.
La chiesa resta sempre il luogo privilegiato di incontro, in cui ritrovare il suono della propria lingua, raccontarsi e fungere da sostegno per i nuovi arrivati. Santo Stefano è la parrocchia per eccellenza della numerosa comunità peruviana, che allestisce spesso banchetti o vi sosta per pranzare in compagnia.Amanti dello stare insieme, gli immigrati, dopo una settimana lavorativa, si ritrovano spesso, durante la bella stagione, nei parchi cittadini o dell’hinterland, sono patiti del gioco del calcio e della pallavolo. Sono numerose le festività religiose peruviane che i migranti celebrano anche a Milano, attraverso il costituirsi delle hermandades (fratellanze) e cofradias (confraternite), riconosciute dalle istituzioni e dalle autorità. Tra i culti più sentiti senz’altro quello del Señor de los Milagros (Signore dei Miracoli) e le festività legate al culto di Maria, madre di Dio, come la Virgen del Chapi, la Virgen del Carmen e la Virgen de la Puerta, o il culto per Santa Rosa di Lima, il Señor de Huanca e San Martin de Porres. Ogni culto ha la sua associazione, che organizza la festa, tiene unita la comunità ed è punto di riferimento.
Alle associazioni di tipo religioso, legate a una particolare devozione, si affiancano quelle sociali e artistiche, con scuole che insegnano le danze tipiche, movimentate, nostalgiche e coloratissime, i canti e la musica. Il desiderio di tutti è quello di tener vive le proprie radici e di far conoscere ai milanesi una cultura ricchissima di tradizioni e con una cucina di alto livello.Proprio nel settore culinario il Perù ha fatto passi da gigante: la cucina peruviana vanta degli chef stellati ed è in costante ascesa: nel capoluogo lombardo molti sono i ristoranti e i fast food che propongono cibo genuinamente peruviano.