Comunità armena di Milano

Scheda redatta da Fabrizio Pesoli

Esistente dal 1915

Religione
Chiesa apostolica armena

Insediatasi a Milano un secolo fa, all’indomani del Genocidio, la comunità armena è una delle più antiche componenti etniche della città. Nonostante le piccole dimensioni (circa 1.000 persone, quasi tutte con cittadinanza italiana ormai da generazioni), ha saputo mantenere la propria coesione grazie alla forte identità culturale e religiosa.

1909-1945: Milano colonia armena dopo il Genocidio

I primi armeni giungono in Italia tra il 1909 e il 1916, quasi sempre via mare, approdando dapprima a Venezia per spostarsi poi lungo la penisola. Piccole colonie sorgono a Torino, Roma e Bari, ma ben presto è Milano a divenire culla della comunità armena più numerosa, grazie alle opportunità che la città offre con la sua intensa vita culturale ed economica. I neo-insediati a quell’epoca sono soprattutto commercianti di tessuti e tappeti, ma non mancano i professionisti quali medici e ingegneri. Tra questi anche il chimico Hovannes Zilelian, appassionato di cinematografia, che nel 1916 rileva parte degli studi della “Milano Film” e costituisce la “Armenia films” con sede a Dergano. Dello stabilimento, ormai distrutto, sopravvive oggi il muro perimetrale che delimita i giardini pubblici “Pierluigi Torregiani”, con un bel portale in stile liberty all’altezza del numero 36 di via Baldinucci.

Il Patriarca armeno partecipa alla processione in onore di Cristo re, 24 maggio 1926 (Civico Archivio Fotografico, Milano)

Le persecuzioni in Anatolia producono in quegli anni un crescente afflusso di rifugiati e orfani in città, per i quali la piccola comunità organizza l’accoglienza. Nel 1912 a Milano apre la sezione italiana dell’Ugab (Union générale arménienne de bienfaisance), ente di assistenza ai bisognosi. Nel 1915 sorge il Comitato Armeno d’Italia, deputato a rappresentare ufficialmente gli interessi e le istanze degli armeni in Italia. Nel 1918 all’Ospedale Principessa Jolanda si inaugura il Reparto armeno (34 posti letto). Nel 1923, in un ex magazzino in via Cenisio 72, nasce l’Orfanotrofio Armeno “Benedetto XV” gestito dai padri mechitaristi di Venezia, dove alloggiano 84 orfani. Nel 1924, grazie a donazioni dei Cavalieri di Malta e dello Stato italiano, la Congregazione Mechitarista acquista lo stabile di viale Umbria 62 per adibirlo a sede del Collegio Armeno. All’inaugurazione, il 10 maggio 1925, il Collegio ospita 80 orfani e sotto la direzione di padre Vartan Hatzuni diventa il centro di tutte le iniziative della comunità, sino alla chiusura nel 1932. Oggi il palazzo è sede di una caserma dei Carabinieri.

Dal Dopoguerra ad oggi: integrazione economica e culturale

Finita la guerra, la ripresa delle attività rende necessario dotarsi di un nuovo spazio che assolva il ruolo del fu Collegio Armeno. Nasce così, in un appartamento di piazza Velasca acquistato con un prestito obbligazionario, la “Casa Armena”. Inaugurata nel 1954, è da allora fulcro di incontri e di iniziative culturali, ospitando personalità quali il pittore Gregorio Sciltian; il maestro Luciano Berio con la prima moglie, il soprano Cathy Berberian; il compositore Aram Khachaturian; il grande testimone del Genocidio armeno, Armin Wegner e, in anni più recenti, l’ex presidente iraniano Mohammad Khatami e la scrittrice Antonia Arslan. Ma anche la vita religiosa necessita di un proprio luogo di culto. Accolti fino a quel momento dalla chiesa anglicana di via Solferino, i fedeli del rito armeno decidono la costruzione di un tempio su un terreno sito al n. 25 di via Carducci, di proprietà della famiglia Darbekirian. Qui il 14 gennaio 1951 il vescovo armeno di Parigi benedice la posa della prima pietra. Ma tutto si blocca per l’interdizione del parroco della basilica di S. Ambrogio, contrario alla presenza di un santuario non cattolico nelle vicinanze. Si trova quindi un’altra ubicazione in via Jommelli, a Città Studi. La nuova chiesa, dedicata ai Quaranta Martiri di Sebaste e ispirata alla tradizione armena con tipica pianta a croce greca e cupola conica, è disegnata dall’architetto Surian e viene inaugurata nel settembre 1958.

Con il boom economico la comunità armena consolida il proprio radicamento nella società italiana, raggiungendo un equilibrio che Agopik Manoukian nel suo libro “Presenza Armena in Italia 1915-2000” così descrive: gli armeni sono «pochi di numero, ben inseriti nel tessuto della società locale, portatori di un forte debito di memoria» verso la propria storia e tradizione. La collettività milanese continua a crescere per tutti gli anni ’70, con l’immigrazione di famiglie dal Medio Oriente e dalla Libia, e mantiene la propria unità soprattutto grazie ai due principali poli di aggregazione: la chiesa di via Jommelli e la Casa Armena. L’interazione con le istituzioni culturali milanesi si arricchisce, nel 1976, con la creazione presso il Politecnico di Milano del “Centro studi e documentazione della Cultura Armena”, diretto da Adriano Alpago Novello, che cura mostre e convegni internazionali nonché il restauro della chiesa di Marmashen.

Nel 1991 la proclamazione dell’Armenia indipendente e l’apertura dei confini incoraggiano l’esodo verso i Paesi dell’Europa occidentale: anche l’Italia è raggiunta dal flusso migratorio che prosegue, benché affievolito, negli anni Duemila. Nel frattempo, grazie ai fondi raccolti dalla diaspora italiana, il governo armeno apre un’ambasciata a Roma, un’altra presso il Vaticano e un consolato onorario a Milano. Le istituzioni lombarde sono anche tra le prime in Italia ad attribuire sanzione ufficiale al Genocidio armeno: è del 1997 il riconoscimento da parte del Consiglio comunale di Milano e del Consiglio regionale della Lombardia, seguiti nel 2000 dal Parlamento italiano.