Comunità cinese di Milano

Esistente dal 1924
Religione Buddhismo. Cattolicesimo
Le origini: dalla Cina a Milano via Parigi
I primi cinesi si stabilirono a Milano alla metà degli anni Venti del secolo scorso, nel triangolo tra le vie Canonica, Bramante e Paolo Sarpi, cuore dell'antico e popolare borgh de scigulàtt, il borgo degli ortolani dove allora era più facile trovare alloggio a buon mercato. Si trattava di un gruppo composto interamente di uomini, tra le 40 e le 150 unità circa, originari della provincia del Qingtian. Per la maggior parte di loro l’arrivo in Italia costituiva una seconda migrazione. Provenivano infatti da Parigi, dove erano approdati durante la Prima guerra mondiale, ingaggiati direttamente in Cina dal governo d'Oltralpe per sostituire gli operai francesi impegnati al fronte.
A Milano, questi cinesi trovarono un proprio spazio inserendosi nel commercio ambulante, dapprima di ninnoli e collane, poi di cravatte e quindi di borse e oggetti in pellame. Il passo successivo fu l’inizio della produzione in proprio, che rafforzò la concentrazione cinese nella zona intorno a via Paolo Sarpi. Questo perché nel quartiere abbondavano gli appartamenti al piano terra con annesso locale ad uso officina: una soluzione ideale per ospitare i laboratori di pelletteria.
1930-1950: la comunità maschile
Come già detto, i primi cinesi erano tutti maschi e si sposarono con donne italiane, molto spesso sartine impiegate nei laboratori tessili della città: da loro nacque la prima generazione italo-cinese. “Una lila, una clavatta” era la frase di uso corrente a Milano per descriverli, stereotipo presente anche nella stampa che cominciava allora ad osservare il nuovissimo fenomeno della presenza multietnica (cfr Corriere della Sera, 1938). La minuscola colonia si infoltì grazie a nuovi arrivi dal Nord Europa o direttamente dalla Cina: il viaggio avveniva per mare, solitamente sui piroscafi Conte Rosso e Conte Verde. Nel 1936 erano 133 i cinesi censiti a Milano.
Nel settembre del 1938 la comunità di via Paolo Sarpi ebbe l’onore di ricevere la visita ufficiale di una delegazione del governo cinese. Ma quando, due anni più tardi, l'Italia entrò nel secondo conflitto mondiale al fianco della Germania, Pechino rappresentava una potenza nemica e circa 300 cinesi (in particolare, quelli non coniugati con donne italiane) vennero deportati nel campo di concentramento di Isola del Gran Sasso, in Abruzzo, e a Ferramonti di Tarsia, in Calabria . Alla fine della guerra la presenza cinese a Milano si ritrovò decimata: in molti si erano rifugiati in altri Paesi europei o avevano scelto di rientrare in patria.
1950-1979: dalle cravatte ai ristoranti
Con la nascita della Repubblica Popolare Cinese, nel 1949-50, comincia il secondo flusso migratorio, che durerà sino al 1979 circa. L'immigrazione avviene da questo momento in poi direttamente dalla Cina, tramite la classica catena di aiuto fornita da parenti ed amici già insediatisi nel nostro Paese. Milano è una meta prescelta, e ad arrivare sono sia uomini che donne.
In Italia sono gli anni della Ricostruzione e del boom economico. Le opportunità fanno crescere anche molti cinesi, che da venditori ambulanti e agenti di commercio diventano grossisti e produttori di borse, cinture e articoli in pelle. A Cermenate (CO) apre la prima fabbrica a manodopera interamente cinese, e nel 1962 sono proprio due imprenditori del ramo pellettiero a inaugurare, in piazza San Gioachimo a Milano, il primo ristorante cinese. Si chiama “La Pagoda” e a parlarne, sul Corriere della Sera, è nientemeno che Dino Buzzati. Gli ingredienti vengono acquistati presso grossisti olandesi, francesi e inglesi perché mancano ancora, in Italia, importatori diretti di alimentari dalla Cina. Nascono associazioni di categoria: già nel 1945, l'Associazione dei lavoratori e commercianti cinesi d'oltremare a Milano; poi, nel 1968, l'Associazione commerciale e industriale dei cinesi in Milano.
Dal 1979 a oggi: l’imprenditoria diffusa
Il terzo flusso migratorio inizia nel 1979, all’indomani dell’ascesa di Deng Xiaoping alla guida della Repubblica Popolare Cinese, con l’avvio della politica di apertura all’economia di mercato. Il 1979 segna anche il gemellaggio Shanghai-Milano. La composizione dei cinesi giunti da allora ad oggi nel capoluogo lombardo è assai più eterogenea che in passato: vi sono ricongiungimenti ma anche singoli individui senza alcun legame familiare in Italia, tra i quali molte donne non coniugate. La loro presenza non è ormai più limitata al triangolo Sarpi-Canonica-Bramante ma si è sparsa su tutto il territorio cittadino e nell’hinterland.
Quanto alle attività economiche, gli anni Ottanta vedono una crescita della ristorazione (dai circa 50 ristoranti esistenti nel 1983 agli oltre 80 del 1993) e dell’indotto economico ad essa collegato: import-export e allestimento dei locali. Negli anni Novanta si espandono i servizi e il commercio (librerie e noleggio di video in lingua originale, negozi e supermercati di alimentari etnici, oreficerie di gusto cinese) e si affermano, nella pelletteria e nell'abbigliamento, catene produttive interamente cinesi. Dopo il 2000 la tendenza è a investire in nuove tipologie commerciali: bar e tabaccherie; telefonia e hi-tech con relativi accessori; parrucchieri e manicure; centri massaggi e benessere; agenzie di viaggio; grandi magazzini. La distribuzione dei negozi è ormai stabilmente diffusa in tutta la città, con nuovi nuclei di concentrazione lungo le vie Padova, Imbonati, Varesina.