Teatro del Popolo

Cultura
Sede
Teatro del Popolo (1911 - 1943)
“… Qui veramente io sentii l’anima del pubblico vibrare di sincera intima commozione”.
Si chiamava Teatro del Popolo, o meglio “Scuola di educazione artistica delle masse popolari”, una straordinaria iniziativa messa in piedi dalla Società Umanitaria, quasi a complemento delle molteplici strutture educative che da inizio Novecento ne stavano contraddistinguendo l’operato in altri campi: dall’emigrazione alle scuole d’arti e mestieri, dagli uffici di collocamento alle Case per bambini secondo il Metodo Montessori, dalla varietà di corsi di aggiornamento, qualificazione e perfezionamento per lavoratori e lavoratrici al sostegno al mondo cooperativo, che proprio in quella Casa del Popolo (sede del teatro) aveva trovato una sede ideale di confronto e di coordinamento: “per stringere in un vincolo fecondo la Lega di mestiere e la Cooperativa di lavoro e indirizzasse verso forme sempre più elette l’opera di miglioramento economico, intellettuale e morale della classe lavoratrice”.
Le finalità del Teatro del Popolo
Ripercorrere le vicende del Teatro del Popolo è importante per molte ragioni: per l’immediata collaborazione degli artisti che ne sposarono gli intenti educativi; per l’idea originaria di far esistere un teatro che non guardasse ai ricavi economici ma alla diffusione fra i ceti popolari – a prezzi davvero modici – delle migliori rappresentazioni artistiche; per la rete di istituzioni che in tempi diversi (prima e dopo la distruzione del teatro, avvenuta nel 1943) stabilirono accordi di programma: in primo luogo con il Teatro alla Scala, tanto che quando fu costituito l’Ente Autonomo del Teatro alla Scala, nello statuto si volle inserito un comma di grande interesse: “Scopo dell’Ente Autonomo è di organizzare spettacoli e concerti con il personale del Teatro alla Scala nel Teatro del Popolo”. In secundogo luogo con il Regio Conservatorio, dove si tennero quasi tutte le stagioni concertistiche degli anni ’30.
L'ideatore dell'iniziativa
Promotore e fautore di quello che è passato alla storia come Teatro del Popolo fu Augusto Osimo, straordinario Direttore Generale della Società Umanitaria. Sua la decisione di riadattare un ex stabilimento industriale (il Tecnomasio Brown Boveri), trasformandolo prima in Casa del Popolo accanto alle Leghe di Mestiere, alle Cooperative di lavoro, agli uffici di collocamento; e poi, dedicando l’ampio salone conferenze a vero, e inedito, teatro del popolo:
“chiamato a portare un attimo di tregua alle lotte, alle pene quotidiane, a far dimenticare, a far pensare, a far sentire; pensare e sentire qualcosa che esuli dalle preoccupazioni d’ogni dì, che ci trasporti in un mondo di fatti e di pensieri impreveduti, che ci riveli a noi stessi in quanto vi ha in noi di più profondo e susciti aspirazioni, energie, speranze nuove e faccia balenare conforti impensati”.
L'inaugurazione
Inaugurato il 7 maggio del 1911 con un concerto dell’Orchestra del Teatro alla Scala diretta da Ugo Tansini e il 25 maggio da uno spettacolo teatrale della Compagnia di Ruggero Ruggeri e Lyda Borelli, “Tristi amori” di Giuseppe Giacosa, il corso regolare degli spettacoli iniziò però nel novembre dello stesso anno, con spettacoli alternati di prosa e di musica, in quel gran salone capace di oltre duemila posti seduti – messi, prima della guerra, indistintamente a disposizione del pubblico al prezzo unico di quaranta centesimi. Gli spettacoli avevano luogo in mattinata la domenica e negli altri giorni festivi, nelle ore insomma in cui l’osteria può traviare, e l’iniziativa – prima di quella del “dopo lavoro” – trovò immediato seguito da parte degli altri teatri, i quali fecero proprio l’esperimento.
Le intenzioni dell’Umanitaria erano chiarissime, e rispondenti alla sua azione educatrice e riformatrice. Anche grazie al sostegno di una cospicua parte della borghesia imprenditoriale lombarda, alla collaborazione delle autorità amministrative e politiche, il Teatro del Popolo fu un vero teatro professionale (la direzione della sezione drammatica venne affidata a Sabatino Lopez, quella della sezione musicale al Maestro Carlo Gatti del Regio Conservatorio di Milano), non dissimile dalle più conosciute esperienze del panorama europeo per organizzazione, impegno finanziario, interpreti, qualità e quantità del repertorio. Un teatro al di fuori del circuito commerciale durato per decenni, oltretutto a cavallo di eventi politico-sociali assai critici: la prima guerra mondiale, poi il fascismo e la difficile ricostruzione del secondo dopoguerra.
Un laboratorio di sperimentazioni
Ma il Teatro del Popolo non fu propriamente un teatro “classico”, perché fu anche un laboratorio di sperimentazioni “politiche”, una fucina di innovazioni, fin da quando, caso assai raro nel panorama italiano, esso costituì negli anni ’20 una Compagnia stabile di prosa; e parallelamente esso sperimentò cicli di grandi manifestazioni teatrali estive all’aperto, presso l’Arena civica (1920-1921), affiancando alla sede centrale una rete di piccole ribalte periferiche situate nei vari quartieri cittadini, anticipando esperimenti di decentramento teatrale molto posteriori.
A queste piccole “ribalte” seguì una rete con altri teatri milanesi. Il 20 dicembre 1924, infatti, il nuovo Teatro Nazionale venne inaugurato proprio dalla Compagnia Stabile del Teatro del Popolo con “La cena delle beffe” di Sem Benelli. E nella stessa stagione 1924-25, la Compagnia si presentò 83 volte nella sede centrale del Teatro del Popolo e diede le altre rappresentazioni in otto teatri cittadini – Politeama, Fossati, Nazionale, Diana, Augusteo, Filodrammatici, Montagnetta, Massimo – “perché giustamente si volle che tutta la cittadinanza abitante nei diversi rioni potesse fruire di ottimi spettacoli al prezzo di sole L. 3, che si riduce a L. 2,50 per gli abbonati”.
Insomma, persino la mano pesante del regime fascista non riuscì a scalfire, se non in minima parte, l’azione teatrale dell’Umanitaria. Durante gli anni del commissariamento fascista, nonostante la riduzione di opere prettamente sociali, sostituite da commedie di intrattenimento di facile presa sul pubblico e da un forte aumento di rappresentazioni italiche per compiacere il nazionalismo di propaganda (a partire dal 1927 la programmazione teatrale venne abbandonata del tutto a vantaggio di quella musicale), il Teatro del Popolo riuscì a portare avanti la sua opera educatrice, proponendo stagioni concertistiche di grande pregio artistico, aumentando l’affluenza del pubblico, che negli anni Trenta si aggirava sui 20.000 spettatori annui.
Gli artisti coinvolti
Dal 1911 alla metà degli anni ’60, insomma, l’autorevolezza del Teatro del Popolo non venne mai meno, e sul suo palcoscenico si tennero migliaia di concerti e spettacoli di prosa con i più noti e amati attori e musicisti del ‘900, tutti riuniti per “andare alla plebe e farla elevare a popolo”: si scritturarono da subito prestigiosi attori (Ettore Paladini, Gemma Bolognesi, Alfredo De Sanctis, le sorelle Gramatica, Ermete Zacconi, Ruggero Lupi), affermati strumentisti (Bela Bartok, Igor Stravinskij, Arthur Rubinstein, Walter Gieseking, Arturo Benedetti Michelangeli, Andrei Segovia), direttori d’orchestra di fama internazionale (Arturo Toscanini, Tullio Serafin, Edwin Fischer, Vicktor de Sabata, Hans Haug), per poi coinvolgere – nel secondo dopoguerra – anche Ornella Vanoni, Domenico Modugno, Giorgio Gaslini e la sua jazz band; si propose un repertorio di ottima qualità; si dotò progressivamente il palcoscenico delle più moderne ed efficienti attrezzature; si programmarono recite nella mattina dei giorni festivi per facilitare l’afflusso “dei proletari, dei socialisti, dei milanesi”.
Le vicende finali
Distrutto il teatro in occasione dei bombardamenti dell'agosto 1943, la programmazione musicale venne intitolata al "Teatro del Popolo" e continuò in altre sedi: Palazzo Clerici (riordinando la stupenda Sala affrescata del Tiepolo arredandola con le poltroncine del Salone degli Affreschi), Teatro Lirico, Teatro alla Scala, Teatro Nuovo, Piccolo Teatro, per proseguirre a partire dal 1957 nel Salone degli Affreschi (a cui si aggiunsero spazi cooperativi e fabbriche) e concludersi definitivamente nel 1967.
Nel complesso, quella del Teatro del Popolo rimane un’esperienza artistica straordinaria, spesso controcorrente, anticipatrice di molte soluzioni moderne. Un orgoglio per Milano.
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