Nidi per i figli dei richiamati

Asili e scuole
Denominazioni
Dal 1915 al 1921, Nidi Bisi Albini
Sede
Nidi per i figli dei richiamati, direzione centrale di via Guastalla (1915 - 1919)
L'iniziativa
I Nidi per i figli dei richiamati sorsero per iniziativa della Nostra Rivista, periodico femminile diretto da Sofia Bisi Albini. La Rivista nacque sotto il patrocinio della Regina madre e si rivolse dichiaratamente a donne di famiglie agiate. La linea editoriale puntava ad un femminismo moderato che coniugasse le virtù domestiche tradizionali con l'attenzione alle nuove conquiste emancipazioniste. Il periodico proponeva racconti, romanzi, biografie di donne illustri, informazioni sui movimenti per i diritti della donna, ma anche più tradizionali consigli di moda, bellezza e salute.
Nel 1915 la direttrice impose alla pubblicazione una svolta interventista. Lei stessa entrò a far parte del Comitato lombardo di preparazione alla guerra e la Nuova Rivista echeggiò immediatamente la propaganda patriottica del paese. Alla donna si proponeva un ruolo attivo sul fronte interno e nei servizi ausiliari. Da questo indirizzo nacque la proposta di creare degli asili nido per accogliere i figli dei soldati, le cui mogli erano impegnate al lavoro durante la giornata, per sostituire i familiari al fronte.
L'apertura
L’annuncio della istituzione dei nidi apparve per la prima volta sul Corriere della sera del 18 maggio 1915, nell'imminenza della entrata in guerra dell'Italia. Erano dedicati ai bimbi troppo piccoli per essere accolti negli asili o troppo delicati per affrontare la vita di scuola dove esistevano classi numerosissime. I piccoli erano accolti al mattino e accuditi fino al rientro delle madri dal lavoro, inizialmente fino alle 19.30, poi l'orario fu ridotto alle 18. Il nome "nidi" incontrò fortuna e l’iniziativa fu sostenuta da molti privati che misero a disposizione locali, donarono abiti, suppellettili, cibo e anche denaro, pure se non richiesto. Nei primi sei mesi di guerra funzionarono in città 10 strutture e due in campagna durante estate e autunno. Nei successivi 10 mesi furono 6, aumentando il numero dei bambini accolti da 20 a 30 e più. Alcuni nidi erano alloggiati in pochi locali, come quello di via Guastalla, due stanze e un corridoio, via Ariosto, una scuderia e un andito, corso Monforte, un garage e una cucinetta, ma sempre tenuti decorosamente. Si curavano soprattutto la pulizia e l'alimentazione, fornendo cibi adatti ai bambini: latte e pane al mattino, riso in brodo o pasta o risotto o puree e uova sode a pranzo, pane e zucchero o un minuscolo pezzetto di cioccolato, frutta cotta, latte a merenda.
Wally Toscanini tra le volontarie
Il personale era costituito da giovani volontarie, ragazze di buona famiglia, spesso alle prese per la prima volta con le faccende domestiche e la cura dei bambini. Scriveva Sofia Bisi Albini che gli asili furono "una scuola di governo della casa e dei bambini per le ragazze di buona famiglia ma anche per le operaie." Una testimonianza dell'impegno delle giovani milanesi della alta borghesia la offre Camilla Cederna nelle pagine dedicate a Wally Toscanini in La voce dei padroni, Milano, 1963, p. 255: "In famiglia dicono che ho grandi doti di organizzatrice; le avevo fin d'allora, perché a 16 anni, alle dipendenze di Sofia Bisi Albini, misi su il nido di via Guastalla per i figli dei richiamati, e in casa usavano dire che quel che papà faceva con la bacchetta, io lo facevo coi piccoli del nido."
Alcuni nidi divennero di fatto strutture di accoglienza permanente, con personale stipendiato, come quello di San Siro che fu destinato a bambini con le mamme ricoverate in Ospedale; in alcuni mesi ospitò anche 46 bimbi. Grazie alla generosità di privati i nidi poterono inviare i piccoli, a turno, ai soggiorni balneari a Spotorno e a Sestri ponente. Furono distribuiti anche sussidi alimentari alle madri di famiglia bisognose. Seguendo l'esempio milanese furono strutture simili in molte città italiane come Genova, Firenze, Catania.
I nidi furono attivi per tutto il periodo della Prima Guerra Mondiale; alcuni di essi, come la struttura permanente di Gavirate che chiuse nel 1921, restarono aperte ancora a lungo, dopo la chiusura del conflitto.
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