Casa dell'Ospitalità Fascista
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Sede
Casa dell'Ospitalità Fascista di via De Breme 59 (1934 - 1943)
Una nuova casa per donne e bambini
La Casa dell'Ospitalità Fascista fu aperta dal Comune nel 1934 e data in gestione all'Ente Opere Assistenziali. Nell'edificio di via De Breme, in zona Bovisa, erano ospitati non solo i ragazzini abbandonati e privi di ogni assistenza, ma anche giovani madri con i loro bambini, senza fissa dimora e con storie famigliari pregresse non semplici.
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Come riportato all'articolo 5 del regolamento:
Per essere ammessi nella Casa sono requisiti necessari il possesso della cittadinanza italiana e l'immunità da malattie contagiose o croniche o comunque incompatibili con l'indole dell'Istituto. Per permanere nella Casa è condizione necessaria la buona condotta morale e politica (Regolamento del 2 gennaio 1939, Casa dell'Ositalità Fascista, Archivio degli Asili e ricoveri notturni dell'Ente comunale di assistenza di Milano - ECA)
I requisiti per l'accoglienza erano quindi a maglie molto larghe, incontravano i disagi di quelle donne che non avevano marito, erano reduci dalle violenze di compagni, o si erano ritrovate con un figlio non riconosciuto. Era una casa fascista più di nome che di fatto. La struttura era composta dalle camerate, i refettori, i bagni, le sale di ricreazione e le cucine. Appena arrivati gli ospiti venivano sottoposti obbligatoriamente alla "cura Wassermann", contro la sifilide, ed erano tenuti in isolamento e sotto osservazione clinica per sette giorni. La cura della salute era un aspetto fondamentale, dovuto soprattutto alle condizioni in cui giungevano le madri e i bambini. Una volta considerati sani i ragazzi potevano passare a fare attività fisica, ricreativa ed elioterapica nel giardino della Casa. I bambini erano tutti vestiti con l'uniforme: calzoncini grigio-verdi e maglia color vinaccia d'inverno, calzoncini cachi e maglietta bianca a maniche corte d'estate; le bambine indossavano un vestito turchino con colletto bianco e fez. Le madri, parecchie delle quali dormivano vicino al loro piccolo, lavoravano a maglia e cucivano nei laboratori, in modo da contribuire al loro mantenimento. Tutto ciò che producevano e che non era usato dagli ospiti della Casa veniva venduto.
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Per i bambini di età inferiore ai tre anni era in funzione un nido, per quelli dai tre ai sei anni un asilo, mentre per i ragazzini che avevano raggiunto l'età scolastica vi era solo il doposcuola, mentre per l'insegnamento vero e proprio frequentavano la vicina scuola elementare "Alfredo Cappelli" di via De Rossi. Alcuni di loro venivano poi iscritti ai corsi di avviamento al lavoro. Per quanto riguarda i pasti, i ricoverati nella Casa dell'Ospitalità Fascista avevano diritto a caffelatte e pane a colazione, minestra, pasta o carne a mezzogiorno e alla sera, e a merenda cioccolata o frutta con pane.
La riforma e la guerra
Nel 1937 con la nascita dell’Ente Comunale di Assistenza, che subentrò alla Congregazione di Carità inglobando in sé l'attività dell’Ente Opere Assistenziali, si assistette ad una riforma strutturale con l'accentramento delle funzioni assistenziali a livello comunale, che porterà alla fusione degli enti caratterizzati dalle medesime finalità. Con lo scoppio della guerra divennero ancora più fondamentali i ruoli svolti dall'Opera Pia Sonzogno, dall'Opera Pia Levi (che con le leggi razziali cambiò il nome del ricovero in Casa di ristoro) e della Casa dell'Ospitalità Fascista.
Nell'estate del 1942 erano accolti proprio dal quest'ultima struttura circa 200 bambini e una ventina di madri. Ad assisterle dodici suore e dodici inservienti. Il numero degli ospitati era cresciuto di molto, come testimoniato dalla lettera inviata all'ECA nel gennaio 1940, con la quale il Direttore informava di dover riprendere due suore in più ad assistere i bambini e le madri. Inoltre si sottolineava come sarebbe stato utile assumere un inserviente in più per coprire i turni di riposo degli assistenti già in servizio e per rimpiazzare il portiere quando questi era impegnato a fare il fattorino.
In zona partigiana
Le vicende belliche condizionarono molto la gestione dei dormitori gestiti dall'ECA, portando al trasferimento dei bambini ospitati in via De Breme in una colonia istituita a Carcegna, in provincia di Novara, con un aumento delle spese di gestione, mentre le madri furono spostate in via Sottocorno. L’edificio di via De Breme venne invece riservato agli uomini dopo che il ricovero di via Soave venne distrutto da un bombardamento angloamericano nel febbraio 1943. A Carcegna, dopo l'8 settembre, la situazione non fu facile; divenne infatti luogo di passaggio per i partigiani della Brigata "Franco Abrami", che aveva la sua base sul Mottarone, mentre nei boschi circostanti l'abitato si muovevano i partigiani della "Volante Elsinki", dal nome della sua comandante, la tenente Elsa Oliva. Proprio di una requisizione partigiana raccontò il Direttore Bruno Frattini, un ex pugile ferito in guerra e squadrista della prima ora, in una lettera indirizzata alla Direzione. Il 12 luglio 1944 alla Casa si erano presentata la Resistenza a chiedere 12 coperte. E si erano dovute consegnare. La Casa dell'Ospitalità Fascista rimarrà aperta fino al 1946, ma poche sono le informazioni disponibili, a causa di un altro bombardamento che, sempre nel 1943, ne distrusse la documentazione conservata in Archivio.
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