Quartiere operaio Lombardia
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Architettura civile
Data di costruzione 1909
“Questa è una delle caratteristiche dell’Umanitaria, di essere stata il laboratorio sociale in cui si sono saggiati, in un ambito prima ristretto eppoi via via sempre più largo, esperimenti di istituti di presidio della classe lavoratrice, che poi lo Stato ha fatto proprio ed estesi a tutta l’Italia, o che altri Enti para statali proseguirono su più vasta scala”.
Sono parole di Alessandro Schiavi, uno dei primi sociologi che lo sviluppo dell’Ente milanese ha seguito fin dal 1904, prima di diventare assessore della giunta Caldara e direttore dell’Istituto Autonomo Case Popolari fino all’avvento del fascismo.
Una casa dignitosa per tutti
Il caso dei quartieri operai è paradigmatico di come alcune iniziative-pilota dell’Ente milanese siano divenute poi modelli replicati in città, tanto che le case dell’Istituto Autonomo per le Case Popolari di Milano ne seguirono l’impostazione (per lo meno dal punto di vista edilizio), anche prima che Giovanni Broglio fosse nominato a capo dello IACP (incarico che tenne dal 1913 al 1934).
Dopo l’inchiesta di Giovanni Montemartini sull’edilizia popolare milanese, viene promulgata la legge Luzzatti (1904), con cui lo Stato italiano concedeva agevolazioni a enti pubblici, cooperative e istituti privati che potessero essere interessati a costruire case popolari, ponendo rimedio alla vita di “quei proletari – parole di Luzzatti – i quali vivono di magri salari in quartieri luridi e in tetre mura che si devono trasformare, risanare, abbattere”.
Le Case popolari dell’Umanitaria non costituivano un modesto contributo alla soluzione del più aspro problema della città, il problema delle abitazioni. Il concetto ispiratore risiedeva nel costruire intorno al mondo operaio un ambiente armonico, dove trovare il benessere fisico e morale, lo svago, il sollievo dello spirito, l’istruzione dell’intelletto.
“Le Case estendono e completano l’opera multiforme della Società Umanitaria, opera che per vie diverse e in vari modi tende sempre al fine ultimo di assistere, elevare ed educare le classi meno favorite dalla fortuna”.
Il secondo quartiere operaio
Rispetto al già sorprendente quartiere di via Solari, nel II quartiere operaio (situato anch’esso in estrema periferia, ma a nord-est, in zona Rottole, confluenza di importanti accessi in Milano) si notava una maggiore varietà e una maggior cura nella organizzazione planimetrica dei singoli alloggi attraverso l’introduzione del mezzo locale, che consentiva di ottenere nel complesso di 214 appartamenti (costruiti nel giro di un anno, ottobre 1908-novembre 1909) diverse combinazioni, razionalizzando lo spazio abitativo e facilitandone l’uso a seconda delle funzioni domestiche.
Locali più ampi, migliori servizi come luce, bagni, riscaldamento, più attenzione alla privacy (come si direbbe oggi) caratterizzavano il nuovo progetto che Broglio aveva concordato con l’Umanitaria, seguendone le precise indicazioni di carattere sociale, come l’offrire alle famiglie ivi residenti sia la Casa dei Bambini della Montessori (innovativo progetto pedagogico), sia spazi comuni: ampi cortili areati, botteghe artigiane, circoli di aggregazione e biblioteche.
La Cooperativa inquilini come autogoverno
Gestiti presto da una forma di autogoverno (la Cooperativa Inquilini), i due quartieri dell’Umanitaria sono ancora oggi un modello apprezzato in ambito internazionale: per ampiezza di vedute, attualità di concezione, generosità di dotazioni.
Agli inizi del 1980 entrambi i quartieri sono stati venduti al Comune di Milano.