Abitazione di Ersilia Bronzini e Luigi Majno

Architettura civile
Filomena Maffei, la cui tesi di laurea è dedicata ai luoghi di Ersilia (*), descrive così il clima di "casa Majno":
Varie testimonianze raccontano della casa Majno come un animato salotto in cui si riuniva un gruppo di persone molto variegato per estrazione sociale, sesso e professione. Infatti, nel giorno dedicato alla commemorazione della morte di Ersilia Majno, l’amica Nina Rignano Sullam ricordava così: «Problemi e contrasti che si erano già certamente affacciati a Lei nella sua casa stessa, aperta e frequentata da tanti giovani e fervidi spiriti – artisti, uomini politici, professionisti, semplici lavoratori e lavoratrici».[2] Mentre Ada Negri riferiva, con queste parole, della «Casa Majno»: «la Casa ospitale e laboriosa, ove germogliano e fruttano tanti semi di bene, e da cui è bandito tutto che non sia pietà per chi soffre, fraternità per chi lavora, lotta per un altissimo ideala di giustizia e di amore».[3] Quindi gli amici e le amiche di Ersilia Majno avevano la possibilità di andarle a fare visita «nella sua vecchia casa di via Pietro Verri, dolce, tranquillo rifugio pieno di ricordi»[4].
A volte, era la stessa Majno ad invitare personalmente nella sua dimora qualche nuovo personaggio, come nel caso di Luigi Devoto [5], medico e professore presso l’Università di Pavia, con il quale ideò e progettò la Clinica del Lavoro. Così, in una lettera del febbraio 1902, Devoto raccontava dell’atmosfera che percepì in Casa Majno: «mi trovai imbarazzato alla vista di tante Signore …» «Avendo visto con quale trasporto in casa Sua si seguano tutti i problemi del lavoro»[6]. (*)
L'autrice della tesi ricostruisce parte della storia dell'edificio dove era collocata la casa:
Dalla consultazione del fondo Ornato Fabbriche, si è potuto risalire alla storia dell’edificio di via Pietro Verri 12 senza avere notizie circa la permanenza effettiva della Majno. Infatti la pratica, risalente al 1882, riporta che lo stabile era di proprietà della famiglia Morbio – Crespi, in particolare di Giulia Morbio, moglie di Benigno Crespi, e che furono proposti alla Giunta Municipale di Milano vari interventi di modifica della facciata e della portineria[7]. Inoltre dal 1885, anno in cui Benigno divenne proprietario della quota di maggioranza del “Corriere della Sera”, il palazzo di via Pietro Verri divenne la sede ufficiale del giornale[8].
Fu la sua casa fino al 1932 quando, poco prima di morire, si trafserì per rimanere vicino al figlio Edoardo.
(*) Maffei, Filomena, Lo spazio, la storia e la cultura: la Milano di Ersilia Majno. Tesi di laurea. Relatrice Giuliana Nuvoli, correlatrice Marina Cavalli, Università degli Studi di Milano, Corso di Laurea in Lettere Moderne, aa 2013-2014
[1] Rachele Farina, Dizionario biografico delle donne lombarde, Baldini & Castoldi, Milano, 1995, pag. 223
[2] Alla memoria di Ersilia Majno, fondatrice dell’Unione Femminile - Discorso di Nina Rignano Sullam, Unione Femminile Nazionale, Brescia, 1933, pag. 10
[3] Ibidem
[4] Ivi, pag. 30
[5] Nato a Milano nel 1864, fu docente di patologia speciale medica dimostrativa all’Università di Pavia e poi ordinario di Clinica delle malattie professionali negli Istituti Clinici di perfezionamento di Milano; inoltre, fu il fondatore della prestigiosa Clinica del Lavoro di Milano, il primo istituto al mondo specializzato nello studio, nella cura e nella prevenzione delle malattie da lavoro. Nel suo concetto di «malattie professionali» non erano comprese soltanto le patologie causate dal lavoro, ma anche quelle che si contraevano durante il lavoro. Malattia professionale dunque come sinonimo di malattia sociale, approfondita con le ricerche sugli effetti della fatica, sulle conseguenze di una alimentazione incongrua e insufficiente, sull’azione delle polveri minerali nelle affezioni polmonari, sul saturnismo, sulla pellagra e sulla tubercolosi. Nel febbraio del 1934 fu nominato senatore del Regno d’Italia e due anni dopo morì a Milano.
[6] Luigi Devoto, lettera 4 del 10 Febbraio 1902
[7] Archivio Storico Civico di Milano, Fondo Ornato Fabbriche, II Serie, cartella 168, P.G. 61958, anno 1882
[8] Alberto Mario Banti, Storia delle borghesia italiana: l’età liberale, Donzelli Editore, Roma, 1996, pag. 177
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