Milano e Caporetto
La rotta di Caporetto
Nella notte del 24 ottobre 1917, presso la località di Caporetto nell'alto Isonzo, l'esercito italiano subì una delle più gravi sconfitte della sua storia, tanto che il termine "Caporetto" è diventato sinonimo di grande disfatta.
Insieme alle truppe che si ritirarono sul Piave, già dalla mattina successiva gran parte della popolazione delle aree circostanti fuggì dalle zone interessate dai combattimenti, cercando rifugio sicuro nelle grandi città della pianura Padana. Complessivamente il movimento interessò oltre 500.000 persone delle province di Udine, Belluno, Treviso, Venezia e Vicenza, che si riversarono in massa, senza organizzazione, sulle strade.
Milano, per la sua posizione, fu naturalmente snodo di passaggio dei profughi verso altre regioni, ma anche centro di raccolta e accoglienza di una gran numero di persone. Si calcola che in città furono accolti almeno 30.000 profughi, oltre a quelli in transito che vennero rifocillati e confortati. L'organizzazione della assistenza si appoggiò alla ben collaudata struttura del Comitato centrale di assistenza per la guerra che funzionava già dai primi giorni del conflitto. Una Commissione di Assistenza ai profughi fu creata appositamente dal Comitato per coordinare tutte le operazioni, con sede nell'ex Teatro San Martino in piazza Beccaria.
Profughi in transito
Umanitaria e Bonomelli misero a disposizione le loro strutture di piazza Miani (Casa Emigranti e Ospizio) e altre allestite temporaneamente per fornire un ricovero provvisorio, pasti, indumenti, cure mediche a chi giungeva a Milano in attesa di proseguire il viaggio verso un'altra città. Lungo la strada vennero assistiti dal Comitato tra profughi udinesi e friulani, che provvedeva anche a consegnare le tessere per le distribuzioni nei punti di ristoro; in città furono approntati ricoveri provvisori al Teatro Lirico, al Teatro del Popolo e in via Carducci.
Tra ottobre e novembre l'Umanitaria assistette circa 50.000 profughi, la Bonomelli altri 15.000. Tra gli accolti numerosi furono i bambini smarritisi dalle proprie famiglie; ricoverati temporaneamente negli istituti cittadini, in seguito furono ricongiunti con i genitori o con i parenti. A novembre solo l'Umanitaria ne raccolse 95 affidandoli all'Asilo Mariuccia, all'Istituto Derelitti, all'Unione Femminile, ecc.; distribuì 15.000 indumenti ai bambini e 60.000 agli adulti; 96.000 pasti nei ricoveri e più di 11.000 ai treni. Da parte sua la Bonomelli dispensò 30.000 pasti all'Ospizio, 12.000 ai treni, 50.000 indumenti e ricoverò tra ospedali, asili, ecc. circa 100 profughi. Nei primi giorni dell'esodo, l'eccezionale afflusso di persone a Milano, divenuto centro di smistamento dei profughi che soggiornarono più a lungo del previsto per la saturazione degli altri luoghi di accoglienza, fece sì che le strutture dell'Umanitaria e della Bonomelli, preparate per ricevere 2.000 persone di passaggio, ne alloggiassero oltre 6.000.
Profughi rimasti a Milano
Per chi si fermava in città il coordinamento fu affidato, come già specificato, all'Ufficio II del Comitato centrale di assistenza per la guerra per quanto riguardava i bambini, e all'Ufficio III per tutti gli altri. Si allestirono dei ricoveri la cui gestione era affidata ad un ente o ad un comitato già attivo, che se ne assumeva la responsabilità: il Comune aprì un rifugio per 400 profughi, prevalentemente inabili al lavoro, nella Villa Reale di Monza; il Comitato di preparazione di guerra allestì dei locali al Trianon e nella Casa di salute di via Statuto; la Croce Rossa Americana approntò un ospizio in via Giusti. Una volta terminato il flusso di sfollati di passaggio anche i Teatri del Popolo e di San Martino sarebbero diventate strutture permanenti di accoglienza. Generose offerte di privati misero a disposizione anche altri locali in abitazioni civili. Gli uffici comunali stimarono circa 12.000 sfollati dimoranti stabilmente a Milano.
Si aprirono anche posti di ristoro per fornire pasti caldi gratuiti o a bassissimo costo. La Cooperativa cucine popolari ne aprì una propria alla Casermetta di piazza Miani; un ristorante funzionava ai Giardini pubblici gestito dall'Unione Femminile e uno in via Ponte Seveso creato dalla Croce Rossa Americana. Nei mesi successivi si provvide al collocamento al lavoro di chi si era stabilito in città, come personale di servizio, operai, negli uffici pubblici o come rimpiazzi di coloro che si trovavano al fronte. Vennero elargiti sussidi, anche da parte del Comitato tra profughi udinesi e friulani, da quello Veneto, e dalla Commissione per l'Emigrazione Trentina già presenti a Milano, per il pagamento degli affitti e l'acquisto di masserizie. Questi aiuti si aggiungevano al sussidio erogato dallo Stato in misura di 2 lire per le persone sole, di 3,60 per le famiglie di due persone, di 4,50 per quelle composte da tre, ecc. Secondo il censimento fatto dal Ministero delle Terre Liberate, nel novembre 1918 a Milano i nuclei famigliari dei profughi residenti in città erano 17.058, i profughi irredenti 8.944, per un totale di 47.614 persone. Alcuni di loro alla fine della guerra fecero ritorno alle loro case; la maggior parte divenne, a tutti gli effetti, cittadino milanese.