Storie di profughi di guerra

Scheda redatta da Francesco Lisanti

Illustrissimo Signor Prefetto, le scrivo per un aiuto

Lo scoppio della Grande guerra generò fin da subito un forte movimento di persone, dal Friuli al Veneto, dal fronte dell’Isonzo a quello trentino, persone evacuate per motivi precauzionali per l'apertura di nuovi fronti bellici, popolazioni in fuga, rimpatriati ed espulsi, internati e confinati. Le popolazioni di frontiera furono le prime ad essere coinvolte, costrette a scappare verso le grandi città come Milano, Torino, Bologna, Firenze e Roma. Questo generò da un lato una solidarietà mai vista prima verso chi non aveva più nulla, che spesso era fuggita con solo quello che aveva indosso, ma anche il sospetto verso chi veniva da luoghi che non erano in Italia o si trovavano sul confine, e quindi considerati a tutti gli effetti stranieri. Per la maggior parte erano persone disperate, senza più una casa, un lavoro, senza più nulla. Nelle carte della Prefettura di quegli anni si possono trovare tantissime storie di questi profughi, veneti, istriani, friulani e trentini.

Profughi da Padova, Schio, Udine e Zara

Il 12 novembre 1915 la "Patria" - Associazione pro Trieste e Trento rispose ad una lettera della Prefettura raccontando la storia di Nicola De Feo, della moglie, di sua sorella e della madre, originari di Zara, da dove erano fuggiti. Gli aiuti in denaro per questa famiglia spettavano alla città di Trani, a cui si erano rivolti, ma purtroppo le casse del Comune pugliese erano in condizioni di povertà tali da non poter concedere il sussidio richiesto. Così l'associazione si fece garante e chiese al Comune di Milano, nella quale ora la famiglia De Feo risiedeva, trovava in assoluta povertà.

Il 13 dicembre 1916 Elena Del Castello scrisse invece una lettera al Prefetto di Milano raccontando di come ormai si torvasse nella condizione di profuga da ormai 17 mesi. Era infatti scappata da Padova, dove viveva, con la prima ondata di fuggiaschi ancor prima che l'Italia entrasse in guerra, e ora si trovava ospite dell'Ospizio Bonomelli di piazza Miani, in cui aveva trovato riparo e rifugio insieme con sua figlia di 18 anni, scalza, priva di indumenti. Così Elena chiese il permesso alla Prefettura per potersi recare al Patronato di via Santa Radegonda per ricevere anche un aiuto in denaro. 

Richiesta alla Prefettura di aiuto per la famiglia De Feo del 12 novembre 1915 (Prefettura di Milano, Gabinetto, Carteggio fino al 1937 - Serie I, b. 588, Fasc. "De Feo Nicola")

Sempre a dicembre del 1916 Giuseppina Maculan in Borgognoni scrisse al Prefetto dalla casa di via Felice Cavallotti, dove viveva con la famiglia Mambretti. Raccontò così la sua storia, di come insieme al marito fosse proprietaria a Schio di un caffé situato all'interno del Teatro Civico, ma come con lo scoppio della guerra l'intero edificio fosse stato sequestrato dalle autorità ed adibito a deposito governativo. In agosto il Teatro e il caffè presero fuoco, e nell'incendio rimase distrutto anche il mobilio della loro casa. La famiglia Borgognoni infatti aveva l'abitazione situata all'interno del Teatro stesso, lavorando anche come custodi dell'edificio. Così la coppia, dopo questa catastrofe, insieme al figlio Giulio di 15 anni, fu costretta a migrare prima a Vicenza, dove sopravvisse senza sussidio grazie ai risparmi accumulati negli anni, e poi a Milano, dove il marito trovò lavoro come fattorino presso la ditta Rossi di via Borgonuovo n. 44. I soldi però non bastavano per sopravvivere, così Giuseppina si trovò costretta a chiedere un sussidio in denaro. Vista la buona condotta della famiglia il 13 gennaio 1917 venne quindi concesso l'aiuto.

Il 22 marzo 1918 il professor Luigi Chiussi mandò una lettera al Prefetto Filiberto Olgiati per chiedere di essere iscritto al Collegio dei ragionieri. Con la guerra aveva dovuto trasferirsi a Milano, in via Lauro 9,  dalla città di Udine, dove esercitava la professione di ragioniere. Era rimasto in Friuli fino al 27 ottobre dell'anno precedente, i giorni di Caporetto. Giunto nella nuova città non era però più riuscito ad avere un giro di clienti stabile, così si trovò nell'impossibilità di mantenere la sua famiglia. Visto che in quei giorni erano state prese misure nei confronti dei beni dei sudditi nemici chiese quindi di essere messo in condizione di partecipare all’amministrazione di qualche bene. Come garanzia diede alla Prefettura i nomi del commendator Carlo Cavalli, di Via Cappuccio 21, e del cavalier Luigi Somasca, di Corso di p.ta Romana al 2. 

Corrispondenza dalla Colonia trentina

Dei trentini ospitati dalla Colonia di piazza d'Armi facevano invece parte Giovanni Battista Fedele e Carolina Floriani. Giovanni Battista Fedele, 27 anni, che nella vita aveva fatto il maestro a Telve in Valsugana e che era arrivato da Gorizia parecchi giorni prima ed era già stato sussidiato con 3 lire, il 26 settembre 1916 la Commissione dell'Emigrazione Trentina chiese il permesso di accordare un sussidio ulteriore fino alla metà del mese successivo di 3.5 o 4 lire.

Lettera della Commissione dell'Emigrazione Trentina di Milano alla Prefettura del 21 settembre 1916, recto (Prefettura di Milano, Gabinetto Carteggio fino al 1937 - Serie I, b. 588, Fasc. "Fedele Giovanni Battista")

Questo in ragione del fatto che il povero maestro era rimasto nascosto a Gorizia in un locale del sottotetto del Convitto Friulano, dove era finito a fare il censore, per ben quindici mesi, cioè dalla dichiarazione di guerra all’Austria fino alla conquista di Gorizia. Durante questo periodo venne nutrito con un po’ di farina e qualche altro genere alimentare che un suo conoscente riusciva a portargli ogni 15 giorni o poco più. Per delle settimane intere dovette sostentarsi solo con del brodo di biada, che riusciva a procurarsi di nascosto, la notte, in una stalla militare. A causa degli stenti e delle ansie si ridusse così in condizioni fisiche precarie. Oltre a tutto questo era pure sprovvisto di mezzi di sostentamento, visto che la sua famiglia dimorava nella Colonia di piazza d’Armi. La sua richiesta venne approvata dalla Prefettura il 26 settembre. Poco meno di un anno dopo, nel giugno del 1917, troviamo Giovanni Battista ancora alla Colonia, stavolta proveniente da Firenze. Gli giunse lì la comunicazione del Segreteriato Generale che la sua richiesta di trovare un lavoro era stata accettata, e che quindi gli veniva offerto un impiego in servizio provvisorio al Commissariato Civile del Distretto Politico di Tolmino di Caporetto, con funzioni d’ordine. Gli venne assegnato un compenso giornaliero di 7 lire lorde, oltre all’indennità temporanea di 24 lire mensili per tutta la durata della guerra. Il 20 giugno accettò la proposta. A quattro mesi dalla rotta Caporetto. Di lui non si seppe più nulla.

Il 21 agosto 1917 Floriani Carolina figlia del fu Antonio Munari, alloggiata nella Colonia di Piazza d’Armi, fece invece domanda alla Prefettura di potersi trasferirsi a Mirandola, dove si trovano i suoi fratelli Anna e Girolamo, insieme al figlio Rodolfo, di 18 anni, e alla nipote Gisella di 9. Così, richiesta una relazione, venne riferito dalla Commissione come Carolina avvesse soggiornato presso la Colonia dal 24 maggio 1916 fino a quel giorno, sussidiata con vitto e alloggio. Oltre a questo venne fatto l'elenco di tutto ciò che le era stato consegnato:

Lettera della Commissione dell'Emigrazione Trentina di Milano alla Prefettura del 25 settembre 1917 (Prefettura di Milano, Gabinetto Carteggio fino al 1937 - Serie I, b. 588, Fasc. "Floriani Carolina")
  • il 16 luglio 1916 una gonna ed una blusa per lei, una camicia per la bambina;
  • l’8 settembre 1916 un paio di pantaloni e una camicia per il figlio, mentre per la nipote ancora una camicia, questa volta nuova, un paio di mutandine, una bustinetta, un vestito intero, un mantello, due paia di calze e un paio di zoccoli;
  • il 16 febbraio 1917 per il ragazzo una camicia, una sciarpa e un paio di calzetti, mentre per lei un grembiule;
  • il 27 luglio 1917 un paio di calze, un paio di mutandine con bustinetta, una sottanina, un paio di zoccoli, un cappello e un costume da bagno da bambina;
  • il 17 settembre 1917 vennero dati un vestito intero e una camicia per lei. 

Il giorno dell'ultima consegna di vestiti, il 17 settembre 1917, madre, figlio e nipote partirono quindi per raggiungere i fratelli di lei.

Richieste di un sussidio, di un lavoro, di potersi spostare. Questi sono solo alcuni esempi di come Milano accolse le molte delle richieste dei profughi. Per tutta la guerra. E anche oltre.