Bruno e Fofi: i partigiani Vigorelli
Insieme all’amico e compagno di partito Antonio Greppi, primo sindaco della Milano Liberata, Ezio Vigorelli è stato sicuramente uno dei protagonisti della rinascita della città nel secondo dopoguerra.
Ma la sua è innanzitutto la storia di un convinto antifascista; un antifascismo che pagò con ripetute persecuzioni e persino con l’arresto e che, dopo l’8 settembre 1943, lo costrinse a riparare in Svizzera con la famiglia. Lì fu tra gli organizzatori della fase preparatoria per la costituzione della Repubblica partigiana dell'Ossola, nella quale ottenne poi l’incarico di responsabile della giustizia. Ma per quella lotta Vigorelli dovette pagare un prezzo altissimo: entrambi i figli, Bruno e Adolfo, chiamato Fofi, persero infatti la vita durante i combattimenti, a due giorni di distanza uno dall’altro: Bruno aveva 23 anni, Adolfo 22.
Fu proprio a Lugano che i fratelli Vigorelli incontrarono Dionigi Superti, comandante della Divisione partigiana "Valdossola", e decisero di tornare con lui in Italia per intraprendere la lotta partigiana. A inizio giugno del 1944 la Divisione si era spaccata in due: un gruppo di partigiani, circa 200, aveva seguito Mario Muneghina, il capitano "Mario", vice di Superti. Braccati dai tedeschi erano stati costretti a sparpagliarsi per non farsi prendere.

In pochi riuscirono a sopravvivere, la maggior parte venne uccisa o catturata e consegnata alla Brigata fascista "Muti", una delle più violente e sanguinarie. Una settantina di partigiani rimase invece con il "Maggiore" Superti. All'alba del 17 giugno una pattuglia di partigiani si imbattè nei tedeschi, e così il comandante ordinò di ritirarsi lungo il canalone tra la Ganna Grossa e il Pedum. Attesero per due giorni a 1800 metri, presso il nevaio, che i tedeschi se ne andassero. Ma così non fu. Il 20 giugno i partigiani ripartirono, sotto la pioggia, con il terreno impervio e in mezzo alla nebbia. Arrivati stremati nei pressi del torrente, i tedeschi piazzati all’Alpe Portaiola li videro e iniziarono a sparare. Fu una strage. Una trentina di partigiani venne falcidiata, e i superstiti si dispersero alla disperata ricerca della salvezza. Nove uomini, fra cui Bruno e Adolfo, riuscirono a scampare al massacro salendo verso l'Alpe Casarolo. Durante la marcia Bruno scivolò in un burrone mentre cercava di portare aiuto a un compagno ferito. Potevano muoversi solo di notte, stanchi e braccati dai tedeschi.

Il 22 giugno i supersititi raggiunsero una baita in cima all'Alpe Casarolo, dove avevano trovato rifugio altri quattro partigiani del gruppo. I tedeschi riuscirono però a raggiungerli. Adolfo e gli altri furono catturati e fucilati sul posto. Solo in tre riuscirono ancora una volta a fuggire verso Colloro.
Bruno è stato insignito della Medaglia d'argento al valor militare alla memoria, mentre Adolfo della Medaglia d'oro. A Milano il loro sacrificio è ricordato da due lapidi, una collocata all'esterno della residenza milanese della famiglia Vigorelli, in corso di Porta Vittoria 17, l'altra nello stabile di via Ponzio 48, a Città Studi, realizzato dall'Ente Comunale di Assistenza nel 1947. Con delibera del 13 dicembre 1954 venne inoltre loro intitolato l'Istituto post sanatoriale "Guido Salvini" di via Soderini, che l'anno prima si era spostato da Bande Nere in una nuova struttura fortemente voluta da Ezio Vigorelli.
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