Alessandrina Ravizza

Scheda redatta da Giuliana Nuvoli

Gatcina (Russia), 1846 - Milano, 22 gennaio 1915

Attività
Assistente sociale, Emancipazionista, femminista

Tenace, intelligente, generosa, infaticabile, Alessandrina Ravizza è tra le figure che meglio incarnano lo spirito ambrosiano: assistenza, concretezza, dinamismo, etica morale. Nata in Russia, giunge a Milano nel 1963, dove sposa l’ingegner Giovanni Ravizza e trascorre il resto della vita tra i salotti borghesi e i quartieri più poveri.

 

Un salotto illuminato

Nelle abitazioni di Via Solferino prima, e Via Andegari in seguito, crea un salotto che condivide una “visione della società quale aggregazione comunitaria d’individui e di gruppi in relazione, […] in cui le competenze e le qualità femminili sono determinanti”. E qui le donne hanno un ruolo da protagoniste: prima fra tutte Laura Solera Mantegazza, che pone le basi dell’associazionismo femminile e della nuova filantropia laica, che mira al riscatto materiale della popolazione, primo passo verso una dignità civile e politica. Accanto ad Alessandrina, per lunghi anni, ci saranno Ersilia Bronzini Majno, che stima ma che non ama, e Linda Malnati, cui la lega profonda amicizia.

 

Dalla parte dei disperati

Alcuni bambini assistiti nell'Ospedale Sifiliatrico

La sua prima iniziativa, nel 1879, è la Cucina degli ammalati, in Via Anfiteatro 16: la “contessa del broeud [brodo]” si aggira impunemente in quel covo di malavitosi e i ladruncoli la salutano levandosi il berretto e si scansano dal marciapiede per lasciarla passare. Alla Cucina degli ammalati collega un ambulatorio medico che affida alla direzione della “dottora dei poveri”: Anna Kuliscioff.

Nel 1900 il Comitato milanese contro la tratta delle bianche, che vede tra i sui membri anche Ersilia Majno, la nomina visitatrice presso l’Ospedale Sifiliatrico di via Lanzone, per studiare da vicino il fenomeno: per le donne e bambini malati di sifilide, abbandonati in una forzata immobilità, Alessandrina apre nel 1901, in via Lanzone 15, una scuola laboratorio, dotata di biblioteca e sala di lettura.

 

Il rapporto con la Società Umanitaria

L’attività di Alessandrina colpisce Augusto Osimo, Segretario Generale dell’Umanitaria dal 1902: “Quando mi si presentava la necessità di creare in seno all’Umanitaria una nuova scuola o un nuovo Istituto, aspettavo per attuarlo di aver trovato l’uomo indubbiamente adatto a dirigerlo. Questa volta mi è accaduto l’opposto: mi è bastato di pensare un giorno ad Alessandrina Ravizza perché mi balenasse e subito mi si precisasse in mente l’idea della Casa di Lavoro per disoccupati”. Così la chiama a dirigerla; da quel momento la sede dell’Umanitaria diventa "il porto dei viandanti della sfortuna", il punto di riferimento per i disoccupati milanesi, i minorenni, le, prostitute, i pregiudicati, i trasfughi dalle campagne, le cui storie sono raccontate in “Sette anni della Casa di Lavoro”.

Sette anni di vita nella Casa di Lavoro

Il lascito di questa donna coraggiosa, passata alla storia “per l’immensa efficacia del fare il bene senza perdere tempo in infinite formalità” (come scriveva lei stessa nel bilancio del funzionamento della Cucina per ammalati poveri), è immenso. Perché Alessandrina Ravizza ha fatto basato la sua azione sul principio che la natura umana è universale, e che i diritti di ogni uomo sono una forma di diritto naturale. Ha applicato la concezione moderna sui diritti umani, secondo la quale è in virtù della nostra dignità in quanto esseri umani che li possediamo, anticipandola nella prassi quotidiana. Così ha disatteso le leggi fatte dall’uomo ogni volta che esse si mostrassero incoerenti con i diritti di ogni singolo individuo. È stata molto più lungimirante, insomma, dello stesso movimento socialista che, per decenni, non seppe scrollarsi di dosso distinzioni di genere, di stato sociale, di categorie.

Nel 1967 il Presidente della Società Umanitaria, Rccardo Bauer, decise di intitolare a lei la nuova "Scuola di assistenti sociali".