Riccardo Luzzatto

Scheda redatta da Francesco Lisanti

Udine, 4 febbraio 1842 - Milano, 5 febbraio 1923

Attività
Avvocato, Politico

Un garibaldino fra mille

Io parto per la Sicilia; l'amor patrio ch'io altra volta trattenni e dominai coll'amore figliale, or trabocca e ha il sopravvento. Io parto pella Sicilia; non poteva il figlio di Mario e Fanny Luzzatto mancare per due volte all'appello della grande patria italiana ("Lettere Garibaldine di Riccardo Luzzatto", Rienzo Pellegrini) 

Che Riccardo Luzzatto fosse una ragazzo intraprendente lo si capì fin da subito. Nato nel febbraio del 1842 venne diciottenne a Milano al seguito della famiglia iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza di Pavia, ma stimolato dall'esempio patriottico di Mario, Fanny, e dei Cairoli che ne frequentavano la casa, decise di arruolarsi fra i volontari che, guidati da Garibaldi, erano in partenza da Quarto.

Adolfo e Riccardo Luzzatto (Archivio della Fondazione Guido Lodovico Luzzatto)

Così nel maggio del 1860 Riccardo si recò di nascosto a Genova da Pavia per unirsi a quello che in seguito sarà ricordato come il gruppo dei Mille. Lì fu raggiunto dal cognato Graziadio Luzzatto e dalla Madre Fanny, che pur fiera del patriottismo e di ciò che aveva insegnato ai suoi figli, il cui maggiore di questi, Adolfo, si distinse nella battaglia di San Martino del giugno 1859, non era così sicura di voler vedere partire il giovane figlio. Un'immagine ci è stata tramandata da Cesare Abba, il cantore delle camicie rosse, che ha narrato come alla richiesta della madre di non parire "lui la supplicò di non dirgli di tornare indietro; perché sarebbe partito lo stesso, col rimorso d'averla disobbedita". Riccardo aveva già da giovane le idee chiare, ed era irrefrenabile. Così partì con la VII compagnia, comandata proprio da Benedetto Cairoli.

Quella non fu l'unica battaglia combattuta con l'eroe dei due mondi. Nell'agosto del 1862 si venne a trovare sull’Aspromonte come sottotenente della I compagnia dei bersaglieri del Maggiore Bidischini, quando, tra feroci polemiche, Vittorio Emanuele II incalzato dalle pressioni francesi in difesa di Roma, fermò il tentativo di Garibaldi di liberare la città eterna. Nello schieramento opposto a quello di Riccardo, nelle truppe dell'esercito regolare, c'era Adolfo, suo fratello. Le camicie rosse furono sconfitte, e Riccardo fu improgionato al Forte di Bard, in Valle d'Aosta. Tornato a Milano dopo una breve prigionia terminò gli studi, ma non lo si poteva tenere a freno, così nella primavera del 1866 tornò ad arruolarsi per la campagna del Veneto e del Trentino, come tenente nel I reggimento del Corpo volontari italiani.

Le prigioni del Forte di Bard in Valle d'Aosta

Al termine della Campagna, come ricordato da Carlo Marzuttini, prima del rompete le righe fra un gruppo di commilitoni si strinse un patto solenne: se si fosse combattuto ancora contro il nemico di sempre, quello austriaco, sarebbero tornati sul campo di battaglia anche loro. 

Riccardo così tornò di nuovo a Milano, dove si dedicò all'avvocatura, prima nello studio dell'avvocato Toccagni, e poi aprendone uno tutto suo in via Lauro al numero 2. Iniziò nel contempo la carriera politica, che lo portò ad essere eletto nel 1892 al parlamento come deputato per la circoscrizione di San Daniele, e poi come assessore alla consulenza legale di Milano nelle giunte Mussi e Barinetti. Collaborò inoltre con Felice Cavallotti, scrivendo per il Gazzettino rosa e La Ragione. Fu di posizioni radicali, anche se non disdegnò lungo l'arco della sua carriera politica di appoggiarsi a repubblicani e liberali. La praticità e il garibaldinismo furono le sue linee guida. Ad inizio secolo si schierò in favore dei moti antimonarchici e anticlericali di Milano, e nel parlamento era noto oltre che per la sua pipetta inglese e per la sua voce di testa anche per la finezza giuridica, l'abilità dialettica e la capacità di distorcere la realtà a suo favore. Fra i banchi di Montecitorio era noto come "l'onorevole del calamaio" per le sue minacce di darlo in testa a qualche avversario politico. Queste caratteristiche lo resero piuttosto impopolare per i giornali cattolici e fra coloro i quali iniziarono a dedicarsi alla politica grazie al superamento del non expedit del papa. Riccardo oltre ad essere ebreo era anche un era un illustre esponente della Loggia massonica “La Ragione” di Milano, e dato che la massoneria era considerata dalla Chiesa cattolica la “Sinagoga di Satana” gli attacchi erano molteplici. Già segnato dalle turbolente elezioni del 1909, dove vinse con un contestatissimo escamotage elettorale, nel 1913 fu costretto a dimettersi a causa dell'accusa di aver ricevuto somme indebite dalla ditta costruttrice nell'ambito dello scandalo per la costruzione del palazzo di Giustizia di Roma.

Di nuovo in guerra contro l'Austria

Uno dei Mille alla Frontiera, La guerra italiana, 1 agosto 1915

Lasciata di lato la politica dei banchi parlamentari continuò però la sua attività irredentista e patriottica, schierandosi fieramente a favore della guerra in Libia. Con lo scoppio della Grande Guerra non poté che schierarsi a favore dell'intervento dell'Italia. Il 15 novembre 1914 si riunirono a Milano i rappresentanti delle associazioni radicali, democratiche e massoniche della Lombardia, e su proposta di Riccardo si deliberò una mozione per sostenere l'entrata in guerra. A fine dicembre venne così pubblicato un manifesto, firmato anche da Luzzatto, nel quale venivano ribadite le motivazioni di un intervento ormai ineludibile. Riccardo partecipò con numerosi interventi alle "radiose giornate" immediatamente precedenti alla decisione di entrare in guerra, con discorsi al Monumento di Garibadi il 13 maggio 1915, dove chiuse la sua orazione con:

Il popolo di Milano ricorda al Governo, investito della fiducia dal Paese, che una debolezza di fronte ad inframmettenze costituzionale dei nemici della Patria, lo renderebbe principe del tradimento e chiede che la guerra nazionale venga senza indugio dichiarata dal Capo dello Stato, interprete della volontà del popolo (La Patria del Friuli, 14 maggio 1915)

Il 16 maggio all'Arena, dove parlò anche Mussolini, arringò invece la folla con le seguenti parole:

Una stirpe di pazzi e di criminali vuole imporsi al mondo civile. Ma noi abbiamo ritrovati i nostri santi sensi e in nome della civiltà sappiamo e sapremo resistervi: mai servi saremo: abbiamo lottato e sofferto per redimerci e una volta redenti non possiamo essere vigliacchi. [...] Cittadini! ai nostri confini vi sono italiani che fremono e piangono. Accorriamo ai confini! ("Il serpente biblico", Valerio Marchi, Kappa Vu, Udine, 2008)
Riccardo Luzzatto in un ritratto dello Studio Pignat di Udine

Di radioso in quelle giornate ci fu in realtà ben poco. Le lotte fra interventisti e non interventisti sfociarono in scontri che portarono all'omicidio dell'operaio Adriano Gadda, avvenuto in concomitanza proprio di uno dei discorsi di Luzzatto, e per cui venne arrestato l'anarchico Bruno Filippi accusato di correità e di aver sparato colpi d'arma da fuoco fra la folla. Nonostante l'Italia la spaccatura trasversale fra chi caldeggiava un'entrata in guerra e chi sosteneva invece che il sostegno ai popoli andasse fatto in maniera diversa, il Re e il governo scelsero la prima fra queste due ozpioni. Riccardo poté onorare così il patto stretto anni prima, e si arruolò di nuovo, a settantatrè anni, come volontario. Tenente di fanteria sul fronte Goriziano. Fra i soldati era noto come "Pony" per la sua piccola statura, ma il suo aver militato fra le fila dei garibaldini gli aveva insegnato ad essere sempre in prima linea, fiero e coraggioso. All'assedio di Gorizia, ferito e contuso, invece di affrettarsi verso il posto di medicazione si affannava a cercare la sua pipa, che l'esplosione gli aveva fatto volare via dalla bocca. Sarà decorato per questo con la medaglia d'argento al valor militare. Tornato a Milano, dopo la rotta di Caporetto si impegnò in ambito umanitario, ed insieme ad altri conterranei fondò del Comitato fra profughi udinesi e friulani con lo scopo di assistere coloro che erano stati costretti a lasciare le terre d'origine dalla rotta dell'esercito italiano. Oltre a munifico benefattore ne fu anche presidente, dal novembre del 1917 al maggio del 1918.

Alla fine della guerra rimase attivo in ambito politico schierandosi sempre con gli ex interventisti, e presenziando insieme ai reduci alla riunione di piazza S. Sepolcro, da cui partirà ufficialmente il fascismo. Non vedrà però cosa diventerà l'Italia sotto Mussolini, il regime, si spegnerà a Milano il 5 febbraio del 1923.

Targa in via Lauro a Milano

Riccardo Luzzatto, ebreo, massone, politico, garibaldino, soldato, avvocato, riposerà finalmente, dopo una vita intera spesa a fare l'Italia, al Cimitero Monumentale. Le sue ceneri verranno poste nella stessa tomba in cui aveva sepolto i figli prematuramente scomparsi. Una scritta recita: "Qui nunquam quievit quiescit". Perfetta sintesi della sua vita. In via Lauro, dove viveva e aveva lo studio di avvocato, una targa con il suo volto in rilievo ci racconta:

Riccardo Luzzatto dei Mille fanciullo a Quarto vegliardo sul Grappa partecipe non testimone ai perigli e alla gloria di due epopee.