Emilio Caldara

Scheda redatta da Francesco Lisanti

Soresina, 20 gennaio 1868 - Milano, 31 ottobre 1942

Attività
Amministratore pubblico, Avvocato, Politico

Un politico nel sociale

l'11 luglio 1915 il Sindaco Emilio Caldara scrisse al prefetto Cassis affermando come il Comune di Milano si fosse attenuto al principio di "fare della assistenza sociale e non della semplice beneficenza". La Grande guerra era scoppiata da un anno, ma l'Italia vi era entrata da poco. Il 26 aprile 1915 erano infatti state concluse dal Re le trattative segrete con l'Intesa, che erano terminate con la sua firma sul Patto di Londra. Queste, condotte all'insaputa del governo e del parlamento, impegnavano l'Italia ad entrare nel conflitto entro un mese, e così fu dichiarata guerra all'Austria-Ungheria. L'apertura delle ostilità portò con sé le più nefaste sue compagne: povertà, fame, e popoli in fuga. Il parlamento era di fatto bloccato, così toccò ai comuni organizzare una forma di assistenza alla popolazione che facesse interagire fra loro la generosità delle persone, la rete delle associazioni e delle organizzazioni già esistenti, e le amministrazioni locali. 

Emilio Caldara era nato a Soresina, in provincia di Cremona, il 20 gennaio 1868 da Pietro e da Carolina Ferrari. Dopo aver studiato nel collegio Ghislieri di Pavia, laureandosi in giurisprudenza con una tesi su "Il concetto di libertà nell'ordine economico", si trasferì a Milano nel dicembre 1891, dove divenne segretario della Società per la pace del premio Nobel per la Pace Ernesto Teodoro Moneta e fece pratica in uno studio notarile. Intrapresa ben presto la professione legale iniziò nel contempo anche la sua esperienza politica nella milizia socialista, legandosi ai riformisti Turati e Bissolati. Milano viveva un periodo di crisi, sia economica, con gli scipero continui e la fame crescente, sia sociale con le leggi Crispine e la mancanza dei più fondamentali diritti. Così nel 1898, durante i moti di maggio e le cannonate di Bava Beccaris, Emilio Caldara venne condannato a tre anni di reclusione, che evitò scappando a Lugano, in Svizzera, come molti dei socialisti e degli anarchici milanesi. Tornato a Milano l'anno seguente grazie all'amnistia divenne subito consigliere comunale, e cotribuì a fondare l'Associazione dei comuni italiani. Questi anni di attività politica cittadina ne fecero un fine conoscitore della macchina burocratica comunale, tanto da farne uno dei possibili candidati socialisti per l'elezione a sindaco.

Le elezioni comunali del 1914: arriva il Barbarossa

Nel corso della campagna elettorale per le elezioni comunali del 1914 i socialisti proposero un programma molto vasto, che andava dalla politica sociale e tributaria al rilancio delle opere pubbliche. Il Comune avrebbe dovuto infatti garantire sussidi ai disoccupati, procurare posti di lavoro, calmierare i prezzi dei generi di prima necessità e promuovere l'edilizia popolare. Doveva inoltre rendere equa l'imposizione tributaria  con un'imposta sulla proprietà, municipalizzare l'azienda del gas, quella dei trasporti, gli asili infantili, e accrescere le opere integratrici della scuola primaria.

I socialisti trionfarono con il 45% dei voti. Con la vittoria politica del 14 giugno la carica di sindaco venne quindi offerta al vecchio socialista Luigi Majno, primo fra gli eletti come numero di voti, che però dovette rifiutare per motivi di salute. Morirà infatti pochi mesi dopo. L'incarico venne allora proposto a Emilio Caldara, che accettò, nonostante preferisse collaborare con il sindaco Majno piuttosto che essere nominato lui a capo del comune. Il Corriere della Sera, che alle elezioni appoggiò i liberali sostenendo la vecchia giunta Greppi, paragonò il nuovo sindaco ad un nuovo Barbarossa. 

Il primo provvedimento della nuova giunta fu l'istituzione dell'assessorato del lavoro, affidato ad Alessandro Schiavi, il cui compito sarebbe stato quello di concentrare in un unico ufficio tutta l'attività del comune riguardante la tutela dei diritti dei lavoratori e il problema della disoccupazione, ponendosi come tramite fra il municipio e le istituzioni che operavano nello stesso ambito, come l'Umanitaria, la Camera del Lavoro e l'Unione Femminile. Lo scoppio della guerrà cambierà però non poco i piani per l'attuazione del programma con cui i socialisti avevano vinto le elezioni.

Un sindaco in guerra

Per quanto gli stati europei si erano preparati ad una guerra, questa calò improvvisamente sulle teste di governanti e persone comuni. Il Sindaco Caldara si trovò così a dover affrontare il problema degli effetti di una guerra ancora prima che l'Italia decidesse di parteciparvi.

Il saluto di Milano ai profughi in un discorso del sindaco (Il Corriere dei Profughi, 2 dicembre 1917, n. 3)

Mentre nel paese si svolgeva il dibattito fra neutralisti e interventisti, alla stazione Centrale di Milano gli arrivi dei profughi dalle terre irredente iniziarono fin dall'agosto del 1914. Le persone in fuga aiutate fin dal loro arrivo dall'Umanitaria e dalla Bonomelli furono più di 100.000, a fronte di una popolazione residente a Milano di 700.000, costringendo il comune a ripensare tutto il sistema dell'accoglienza e della gestione dei profughi, e a creare un Comitato centrale con lo scopo di unificare gli sforzi del comune e delle associazioni. Lo stesso Caldara raccontò la situazione di quei drammatici giorni:

"...migliaia e migliaia di emigrati italiani giungevano alla rinfusa per la ferrovia del Sempione: erano vecchi, donne e fanciulli (gli uomini validi erano stati trattenuti e internati), stanchi, affamati, con poche masserizie sottratte frettolosamente alle case abbandonate o distrutte, strappati ad una vita regolare e per molti agiata e gettati nel turbine di un mondo sconvolto, moltissimi senza parenti in Italia e senza possibilità di ricovero, non pochi ignari ormai della nostra lingua, irritati o inebetiti dalla disperazione, avvolti nel lezzo di una prolungata promiscuità di vita, minacciati dalle malattie, oppressi dall'afa bruciante e flagellati dal sole di quel triste agosto. Bisognava accoglierli come fratelli, alimentarli, alloggiarli, pulirli: in una parola salvarli."

Il Sindaco e la sua giunta riuscirono a gestire così una macchina burocratica che permise non solo di accogliere chi fuggiva da una guerra o chi si trovava danneggiato da essa, ma che provò anche a trovare loro un lavoro, a dare un sostentamento economico e materiale, e a fornire ogni tipo di assistenza. Come la definì Turati, una Croce Rossa civile. 

La lotta non è finita

Lo sforzo della città di Milano durante la guerra fu enorme, ma la politica assistenziale del sindaco socialista continuò anche dopo la firma dell'armistizio. Una delle prime azioni fu quella di destinare una grossa somma per quelle che erano le nuove popolazioni italiane, per quelle terre un tempo irredente e ora da ricostruire. Oltre 400.000 lire in sussidi vennero stanziati per quei profughi che entro breve sarebbero tornati alle loro case distrutte, senza mezzi, e che Milano aveva amorevolmente accolto. Caldara andò personalmente a portarli nel Trentino, nell'Istria, e a Fiume. Oltre a questo si prodigò molto per la condizione dei bambini, dall'assistenza agli orfani, all'educazione e all'edilizia scolastica, perché come ebbe occasione di rimarcare se l'assistenza di guerra era un dovere e un risarcimento, quella ai bambini era anche un'opera di ricostruzione sociale.

Impressioni di un Sindaco di guerra, Emilio Caldara, copertina

A nome del Comune accolse infatti a Milano i bambini viennesi e del Piave, un'azione particlarmente significativa verso chi era in condizioni peggiori delle nostre e aveva perduto la guerra contro l'Italia. Una delle ultime azioni come sindaco fu inoltre quella di promuovere un convegno per l'assistenza internazionale all'infanzia. La guerra era finità, ma aveva lasciato dietro di sé una scia fatta di ricostruzioni da affrontare, carestie, influenza spagnola e crisi economica.

Alla fine del suo mandato Caldara, benché sapesse che non sarebbe stato riproposto come sindaco dalla maggioranza rivoluzionaria del suo partito, accettò nel 1921 di guidare la lista, che vinse nuovamente. Diventò sindaco Filippetti, che rimase alla guida dell'amministrazione sino all'occupazione di Palazzo Marino da parte delle squadre fasciste il 3 agosto 1922. L'ex sindaco si candidò e venne eletto quindi al Parlamento, partecipando con il suo gruppo alla secessione aventiniana, e pronunciandosi, nel giugno del '25, per il definitivo ritiro dall'aula. Disciolto il suo partito alla fine del 1925 con le Leggi fascistissime, che determinarono la messa al bando dei partiti politici, la soppressione totale della libertà di stampa, delle libertà della persona, del pensiero, dell’espressione e della parola, e fatto decadere dalla carica di deputato il 9 novembre 1926, Caldara si tenne in disparte dall'attività politica per tutto il resto del ventennio fascista, dedicandosi prevalentemente alla professione di avvocato. Morì a Milano il 31 ottobre 1942.