Cesare Pozzo

Serravalle Scrivia, 1853 - Udine, 1898
Macchinista ferroviario
Nasce nel 1853 a Serravalle Scrivia, ma fin da bambino si trasferisce con la famiglia a Genova dove cresce venendo a contatto con gli ambienti mazziniani. Nel 1874 è assunto dalla SFAI (Strade ferrate Alta Italia) come fuochista presso il deposito di Pontedecimo (GE), venendo presto promosso a macchinista. Da subito si adopera per promuovere l’associazionismo mutualistico fra il personale di macchina delle ferrovie. Si iscrive quindi alla Società di Mutuo Soccorso fra i Macchinisti e i Fuochisti dell’Alta Italia (oggi Società Nazionale di Mutuo Soccorso Cesare Pozzo) fondata a Milano nel 1877.
A Milano: presidente della Società di Mutuo soccorso fra Macchinisti e Fuochisti delle Ferrovie Alta Italia
Da Pontedecimo viene trasferito a Udine, a Cremona e poi a Pavia, spesso su pressioni delle Prefetture e delle Questure che iniziano a interessarsi a lui, anche per le collaborazioni con vari giornali e gli articoli contro il governo Depretis. Riesce a coniugare questa attività pubblicistica con gli intensissimi ritmi dei macchinisti.
Su richiesta del deputato radicale Antonio Maffi, redige per la Società di Mutuo Soccorso fra i Macchinisti e i Fuochisti dell’Alta Italia, un memoriale indirizzato al Parlamento sulla condizione del personale di macchina. Nel 1886 è eletto presidente della Macchinisti e Fuochisti e riesce a farsi trasferire in quella che lui stesso definisce “l’industre e civile Milano”.
Oltre a curare le attività più prettamente mutualistiche della Macchinisti e Fuochisti, Cesare Pozzo impegna il Sodalizio in un confronto con le compagnie ferroviarie, allora private, per difendere gli interessi del personale di macchina e rivendicare migliori condizioni salariali e di lavoro. La categoria godeva di redditi più alti rispetto agli operai dell’industria, ma era soggetta a durissime condizioni di lavoro e di vita; una parte del salario era inoltre variabile (competenze accessorie), consistendo in un sistema di premi volto a incentivare la produttività e spesso distorto da arbitri e soprusi da parte dei superiori. Imprime quindi al Sodalizio maggiore combattività, sulla via che sarà chiamata di “miglioramento” e di “resistenza”. Tanto è l’impegno che si arriva a dire che “Pozzo personifica la classe”.
Fra gli aspetti più importanti della sua opera, vi è la rilevanza data alla rettitudine morale, all’educazione della categoria, all’assunzione diretta di responsabilità. Si impegna anche sul lato dell’organizzazione: l’unione dei Sodalizi di tutte le categorie di ferrovieri e la forza che ne deriverebbe, è vista come «l’unico mezzo per raggiungere la comune emancipazione».
Una vita per i lavoratori delle strade ferrate
Nel 1889 è costretto a lasciare Milano. Da anni Governo, Parlamento e compagnie ferroviarie ignorano i reclami dei ferrovieri, sulle linee serpeggia il malcontento, le varie organizzazioni dei ferrovieri approvano ordini del giorno per la «resistenza», si organizzano assemblee e si prosegue sulla via della creazione di una Federazione unitaria, il primo passo verso il sindacato. Le questure, di concerto con le compagnie ferroviarie, temendo lo sciopero, esercitano una vigilanza costante soprattutto su Cesare Pozzo e gli altri leader, ritenuti sovversivi. La mobilitazione viene stroncata con traslochi punitivi degli «agitatori» in località isolate o addirittura malariche. Cesare Pozzo viene trasferito nel piccolo deposito di Moretta in provincia di Cuneo.
Nel 1890 lascia la carica formale della presidenza della Macchinisti e Fuochisti, conservando la guida politica del Sodalizio come capo della Commissione di propaganda. Elabora poi un progetto di azionariato ferroviario: si investono fondi nelle compagnie ferroviarie, per partecipare alle assemblee degli azionisti e perorarvi la causa del personale. Cesare Pozzo, altri ferrovieri e vari fiancheggiatori (il deputato Maffi, il giornalista Romussi, il prof. Cogliolo, il socialista Bissolati e altri) vi partecipano per anni senza ottenere però i risultati sperati.
Trasferito a Siena prima e a Livorno successivamente, continua a impegnarsi per far nascere il primo sindacato dei ferrovieri. È infatti convinto che l’emancipazione possa arrivare solo con l’unione dei lavoratori, per tramite dell’organizzazione, e con lo sviluppo della coscienza di classe, per tramite dell’educazione. L’unione di tutto il basso personale delle ferrovie è la chiave per vedere soddisfatte le rivendicazioni. L'obiettivo è raggiunto nel 1894 con la costituzione della Lega Ferrovieri Italiani.
Nello stesso periodo abbraccia gli ideali socialisti e li diffonde fra i colleghi, spendendosi per far aderire la Macchinisti e Fuochisti e la Lega ferrovieri al nascente partito socialista. L’adesione al socialismo segna anche il superamento del suo astensionismo politico, di stampo mazziniano prima e operaista poi. Collabora col settimanale socialista «Lotta di classe» e pubblica vari opuscoli in cui coniuga lotta sindacale e lotta politica.
Malattia e suicidio
Gli ultimi anni di attività, contraddistinti troppo spesso da un impegno eccessivo, sono divisi fra la propaganda del socialismo e le rivendicazioni dei ferrovieri. Il prezzo pagato per l’attività sindacale e politica è però molto alto. Sempre controllato dalla Questura, nel corso degli anni è sottoposto dalla compagnia ferroviaria a numerosi traslochi di sede, spesso punitivi. Per non tradire la categoria rifiuta la promozione a capo deposito. Per dedicare il pochissimo tempo libero dal servizio alla causa dei lavoratori, trascura la famiglia. Per anni sostiene intensissimi ritmi fisici e intellettuali, dovuti alle fatiche del macchinista e all’impegno profuso nelle conferenze e nella preparazione di innumerevoli scritti. Una vita logorante che lo porta ad ammalarsi di una grave forma di esaurimento nervoso. La descrizione dei sintomi da parte dei contemporanei fa pensare a un disturbo bipolare.
Nel maggio 1898 scoppiano i moti popolari per il caro pane e si scatena la repressione del governo. A Milano il generale Bava Beccaris fa sparare coi cannoni provocando decine e decine di morti, mentre in tutta Italia si procede ad arresti indiscriminati. La Lega ferrovieri e la Macchinisti e Fuochisti vengono sciolte, le loro sedi occupate dall’esercito, i dirigenti arrestati o costretti alla fuga all’estero.
Cesare Pozzo assiste così al crollo dell’edificio “eretto con tanto amore e sacrifici”. In quei giorni è a Udine, in cura presso uno stabilimento idroelettroterapico. La sua casa di Livorno viene perquisita e lui stesso riceve la visita di un delegato di polizia. Già provato dalla malattia e temendo di venire anch’egli incarcerato, non resiste alla pressione e si suicida il 15 maggio 1898, lanciandosi sotto la locomotiva del diretto delle 11.25 Udine-Venezia.
Al Cimitero Monumentale
Le sue ceneri vengono trasferite nell'amata Milano solo nel 1899, per l’estremo omaggio che nel maggio 1898 non era stato possibile tributargli. Il 30 luglio 1899 nel salone della Casa dei Ferrovieri di Via San Gregorio, sede della Macchinisti e Fuochisti, si svolge la commemorazione, in forma privata su disposizioni della Questura che impone anche il trasporto delle ceneri al Cimitero Monumentale alla spicciolata e non in corteo e dispone la vigilanza affinché non si tengano discorsi.
La stele posta sotto il busto al Monumentale reca un’epigrafe dell’amico Carlo Romussi, per tanti anni presidente onorario della Società di mutuo soccorso fra Macchinisti e Fuochisti.
Bibliografia: Stefano Maggi, Il tormento di un'idea. Vita e opera di Cesare Pozzo, Milano, FrancoAngeli, 3° ed., 2018
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