Azienda Lombarda Edilizia Residenziale (ALER)

Quartieri e case popolari
Denominazioni
Dal 1908 al 1935, Istituto Autonomo Case Popolari (IACP)
Dal 1908 al 1935, Istituto Case Popolari ed Economiche (ICP)
Dal 1936 al 1945, Istituto Fascista Autonomo Case Popolari (IFACP)
Dal 1946 al 1996, Istituto Autonomo Case Popolari (IACP)
Sede
Sede dell'Istituto autonomo case popolari di via Cesare Battisti (1926 - 1933)
Sede
Sede dell'Istituto autonomo case popolari di via San Paolo 10 (1933 - 1960)
Sede
Sede dell'Istituto autonomo case popolari di viale Romagna 26 (1960 - oggi)
Edificato
Il quartiere popolare di via Spaventa (0 - oggi)
Edificato
Quartiere Varesina (0 - oggi)
Edificato
Quartiere operaio Lombardia (1909 - oggi)
Edificato
Il quartiere Lulli (1909 - oggi)
Edificato
Quartiere Niguarda (1910 - oggi)
Edificato
Quartiere Villaggio giardino Campo dei Fiori (1919 - oggi)
Edificato
Quartiere Villaggio giardino Gran Sasso (1919 - oggi)
Edificato
Quartiere Villaggio giardino Baravalle (1919 - oggi)
Edificato
Quartiere Villaggio giardino Tiepolo (1922 - oggi)
Edificato
Quartiere Regina Elena (poi Mazzini) (1925 - oggi)
Edificato
Quartiere XXVIII Ottobre (poi Stadera) (1928 - oggi)
Edificato
Quartiere Tonoli (1928 - oggi)
Edificato
Quartiere Romagna (1929 - oggi)
Edificato
Quartiere Filzi (1935 - oggi)
Edificato
Quartiere Mangiagalli II (1946 - oggi)
Edificato
Quartiere “Pompeo Castelli” (1946 - oggi)
Un istituto per l'emergenza casa
L’Istituto nacque agli inizi del ‘900 per poter gestire il fenomeno della forte immigrazione causata dall’industrializzazione. A casa del grande flusso di famiglie che si trasferivano dalla campagna a Milano, occorreva individuare e sperimentare nuove proposte abitative che fornissero alloggi igienici e a buon mercato per i meno abbienti. Fu inizialmente l'amministrazione comunale milanese a stabilire la fondazione di una azienda municipale per le case popolari, approfittando delle facilitazioni consentite dalla legge Luzzatti approvata nel 1903. La legge istituiva per la prima volta in Italia finanziamenti pubblici a enti locali, privati e cooperative, per creare abitazioni popolari.
Il sindaco Ettore Ponti, presentò il progetto di costituzione di un Istituto per le Case Popolari al Consiglio Comunale il 24 giugno 1908. Nei mesi precedenti era stata inviata una circolare a enti ed istituti cittadini per cercare adesioni al progetto. La Congregazione di Carità, tra le altre, aveva espresso l'impossibilita di partecipare con impiego di capitali all'iniziativa, perché vincolati per legge alla beneficenza.
L'Istituto nacque ufficialmente il 12 agosto 1908. La prima riunione del consiglio di amministrazione avvenne nel febbraio 1909, nella sede della Direzione in via Montenapoleone 39. Primo presidente fu l'ingegner Francesco Pugno; nel 1910 Alessandro Schiavi divenne direttore Generale. La sede sociale fu trasferita più volte: nel 1912 in via Bagutta 12, nel 1926 in via Cesare Battisti (presso il quartiere Vittoria di recente costruzione) e dal 1933 nella sede della ex Banca Popolare di via San Paolo.
Al neonato Istituto il Comune di Milano consegnò i complessi degli edifici popolari già costruiti con fondi municipali, cioè Ripamonti, Mac Mahon, Spaventa, Tibaldi e un capitale di 10 milioni di lire.
Tra il 1908 e il 1913 furono realizzati il quartiere Lulli (zona Loreto), viale Lombardia, Niguarda e Cialdini. Si completò inoltre il quartiere Spaventa.
Il primo dopoguerra
Nel 1914 l'ingegnere Giovanni Broglio venne posto a capo del nuovo Ufficio Tecnico interno, con l'incarico di soprintendere alla realizzazione dei nuovi progetti, prima affidati a architetti esterni. Sospesi i lavori per la guerra, tra il 1919 e il 1920 furono costruiti quattro villaggi giardino destinati ai reduci, progettati con costruzioni leggere a un piano, pensati per essere utilizzati al massimo per una decina di anni, ma che sopravvissero ben di più: Campo dei Fiori, Baravalle, Gran Sasso, Tiepolo. L'attività edilizia proseguì intensamente negli anni successivi con il completamento di grandi quartieri ad alta intensità abitativa quali Vittoria, Genova, Magenta, Tiepolo e Pascoli, Botticelli, Friuli, Andrea del Sarto e Monza.
Nel 1924 sorse l'Istituto per le case economiche che intendeva fornire abitazioni civili da cedere in ammortamento al ceto medio; questo indirizzo venne però abbandonato nel 1931 e l'Istituto si indirizzò alla costruzione di alloggi ultraeconomici in affitto, anche per fronteggiare il grave problema degli sfratti, causato dallo sblocco dei canoni d'affitto. Tra il 1925 e il 1931, sotto la presidenza di Giuseppe Borgomaneri, vennero infatti costruiti ben venti quartieri di edilizia residenziale pubblica: Piola, Vanvitelli, Stadera, Solari, Villapizzone, Bibbiena, Bellinzaghi, Romagna, Forlanini, Aselli, Anzani, Mazzini, Polesine, Calvairate, Giambologna, Plinio, Lipari e Piolti-De Bianchi.
Nel 1932 fu progettato il nuovo quartiere San Siro per il quale fu applicata per la prima volta la sperimentazione nell'edilizia popolare delle idee razionaliste, combinando estetica, funzionalità ed esigenze economiche. Oltre al quartiere San Siro (progettato dal gruppo Albini) altri esempi di questa corrente architettonica si trovano nei quartieri Baracca e Bossi (progettisti Cesare e Maurizio Mazzocchi) e
Fabio Filzi (architetti Albini, Palanti e Camus).
L'attività costruttiva fu sensibilmente rallentata dall'inizio della seconda guerra mondiale fino a cessare completamente nel 1942, con i primi bombardamenti, a causa dei quali vennero distrutti oltre 225.000 vani.
La ricostruzione del secondo dopoguerra
Nel 1944 venne sciolto il consiglio di amministrazione dell’ICP di Milano dal governo della Repubblica sociale e rescisso ogni contratto con le imprese impegnate nella fornitura di materiali e nella costruzione degli edifici.
Quando nel giugno del 1945 si cominciarono a sgomberare le macerie e a demolire gli stabili pericolanti risultarono distrutti 57.500 vani sul patrimonio edilizio complessivo dell’Istituto di 92.203 vani, come riferisce nella relazione sull’attività dell’ICPM nel triennio 1945-1950 l’allora presidente Giuseppe Moro.
L’ingegnere Giuseppe Moro venne nominato commissario straordinario dal governo militare alleato su proposta del Comitato di liberazione nazionale il 3 luglio 1945; Moro venne confermato nell’incarico di presidente dell’Istituto milanese nell’ottobre 1946 con il compito di costituire il nuovo consiglio di amministrazione. Furono nominati direttore tecnico l’architetto Irenio Diotallevi, poi direttore generale, e direttore amministrativo Antonio Sala.
Nonostante le gravissime difficoltà economiche in cui versava l’Istituto, tra il 1946 e il 1947, furono avviati nuovi progetti: il quartiere “Varesina” di Irenio Diotallevi e Francesco Marescotti fu realizzato tra il 1946 e il 1950, nella periferia nord-ovest della città, sull’asse centrale di viale Espinasse; il quartiere “Pompeo Castelli”, in fondo a via Mac Mahon, progettato dagli architetti Ezio Cerutti e Aldo Putelli, fu realizzato tra il 1946 e il 1952.
Nel 1946, frattanto, l’ICPM si era trasformato in Istituto autonomo case popolari di Milano (IACPM).
Le opere di ricostruzione e le nuove realizzazioni furono possibili anche grazie agli interventi legislativi dello Stato, quali il piano Fanfani-INA Casa, legge organica in materia di abitazione - approvata dal Parlamento il 28 febbraio 1949 - e la legge Tupini del luglio 1949, “Disposizioni per l'incremento delle costruzioni edilizie”.
Al 1950 risale la realizzazione del quartiere Mangiagalli II, situato nella zona nord-ovest di Milano, appena fuori dall’odierna circonvallazione esterna. Progettato dagli architetti Franco Albini e Ignazio Gardella, venne concluso nel 1952.
Nel dicembre 1951, frattanto, aveva assunto la presidenza dell’IACP l’ingegnere Camillo Ripamonti.
Concluso il periodo dell’emergenza postbellica, si inizia allora a percepire la sorprendente crescita del fenomeno migratorio:
nel corso del 1951 s’era registrata una delle punte più alte dell’ultimo quinquennio nel flusso immigratorio, con più di 17.000 unità. (…). Proprio nel 1951 il censimento della popolazione aveva rivelato, in ogni caso, che quasi il 51% della popolazione complessiva della provincia si addensava in Milano e che mancavano in città oltre 262.000 vani. In questa situazione era riemersa la piaga dei baraccati, più di 19.000 persone, mentre il fenomeno della coabitazione, ricorrente negli anni dell’immediato dopoguerra, non era stato del tutto debellato, dal momento che interessava ancora 26.700 famiglie senza un proprio alloggio (Case popolari. Urbanistica e legislazione 1900-1970).
I piani INA-Casa
Questo periodo è caratterizzato dalla compresenza di diversi piani di attuazione edilizia INA-casa (1949-1956) e Gescal (1956-1963), che portarono alla realizzazione di differenti tipologie di fabbricati: case a schiera, edifici di 4-5 piani ma anche di altezza superiore. All’edilizia pubblica si affiancò inoltre quella privata, che diede luogo a numerosi episodi di speculazione.
Tra il 1950 e il 1955 l’Ufficio tecnico dell’Istituto realizzò il quartiere comunale Boccioni e i quartieri Omero, Pezzotti, Lorenteggio, Baggio I e II, che presentano un favorevole orientamento degli edifici di varie altezze e con numerosi servizi commerciali.
Un intervento di grande rilevanza fu la realizzazione del quartiere INA-Casa Harar Dessié (nei pressi dello stadio di calcio), progettato da Luigi Figini, Gino Pollini e Giò Ponti. Il complesso presenta una serie di edifici di 4-5 piani (grattacieli orizzontali) e di casette a schiera, immersi in una zona verde con scuola e asilo, secondo i dettami del razionalismo milanese.
Tra il 1951 e il 1955 venne edificato anche il quartiere IACP Giambellino, su progetto di Irenio Diotallevi. Altra importante realizzazione fu quella del quartiere Ca’ Granda Nord (1954-1958), caratterizzato dall’utilizzo, in alcuni edifici, del cemento armato per l’ossatura, con tamponamenti in mattoni forati a vista e pannelli prefabbricati per le finestre.
Nel 1954 iniziarono i lavori di edificazione del “quartiere autosufficiente” Comasina, sorto in un’area a 6 km a nord dal centro della città, la cui progettazione vide impegnati Irenio Diotallevi (progetto urbanistico), Camillo Rossetti (progetto definitivo) e, tra gli altri, Piero Bottoni, Piero Lingeri, Ezio Cerutti, Giancarlo De Carlo, Aldo Putelli, Gianluigi Reggio.
Tra il 1957 e il 1968 altre importanti realizzazioni furono il quartiere INA-Casa Vialba I (1957-1960), su progetto di Ezio Cerutti, Piero Lingeri, Giulio Minoletti, Luigi Caccia Dominioni, Vito e Gustavo Latis, Mario Tevarotto, un complesso residenziale con edifici di 3-4 piani, vario e articolato, con un impianto stradale sinuoso; il Gallaratese G1 (1957-1968), primo lotto di realizzazione del più ampio quartiere Gallaratese, al quale lavorarono 68 progettisti coordinati da Gianluigi Reggio; il quartiere Taliedo ideato da Camillo Rossetti, che prevedeva spazi verdi tra gli edifici realizzati con tre diversi tipi di piante e di facciate.
Gli anni sessanta videro una rilevante crescita dei flussi migratori, che travolse la politica urbanistica e edilizia cittadina. Nel 1961 Milano contava 1.600.000 abitanti, il 23% delle abitazioni risultavano prive di servizi interni e acqua potabile e si assistette allora alla nascita di numerose “coree”.
La crisi economica degli anni sessanta e settanta
In questi stessi anni l’Istituto Autonomo Case Popolari conobbe una forte crisi economica dovuta in gran parte alla contrazione dei finanziamenti pubblici. Ciò nonostante si procedette alla realizzazione dei quartieri Forlanini Nuovo (1960-1964), su progetto di Camillo Rossetti, Piero Lingeri e del Centro per la ricerca applicata sui problemi dell’edilizia residenziale; Chiesa Rossa (1960-1966), progettato da Cesare Blasi e Vittorio Gandolfi; Feltre (1957-1960) di Gino Pollini, Giancarlo De Carlo e Ignazio Gardella. Nel caso di quest’ultimo i progettisti idearono una struttura unitaria che ricercava l’integrazione con il tessuto urbano, in opposizione all’idea del quartiere autosufficiente.
Tra le fine degli anni sessanta e gli anni settanta sorsero i quartieri Gratosoglio (1963-1971), su progetto dell’architetto Ludovico Belgioioso; Sant’Ambrogio I (1964-1965), ideato da Arrigo Arrighetti; Gallaratese G2 San Leonardo, a completamento del progetto Gallaratese (1964-1974).
Nel corso degli anni settanta l’Istituto, si trovò in una gravissima crisi economica in gran parte dovuta alla morosità degli affittuari e alle ingenti spese di manutenzione del proprio patrimonio immobiliare. Questa situazione determinò un incremento dei canoni d’affitto, calcolato in base al reddito degli inquilini, e diede il via ad una politica di contenimento dei costi, che si ottenne anche attraverso il risparmio energetico e l’installazione di nuovi impianti tecnologici.
Tra la metà degli anni settanta e gli anni ottanta lo IACP mise in cantiere, al contempo, la realizzazione di torri da 20 piani (in via Noale, via Sella Nuova, via Vincenzo da Seregno e in altre zone) e, in collaborazione con il Comune di Milano, il recupero di edifici del centro storico (corso Garibaldi, piazza Santo Stefano, via Scaldasole, corso di Porta Ticinese e corso XXII marzo).
In questi anni l’Istituto procedette, inoltre, alla demolizione delle “case minime”, sostituite da edifici residenziali: vennero eliminate quelle di via Zama alla Trecca (1978), viale Rubicone (1979), via Forze Armate e Vialba (1983).
L’attività di edificazione dell’Istituto diminuì fino a cessare quasi completamente negli anni novanta, concentrandosi sulla gestione del cospicuo patrimonio esistente.
Con la legge regionale del 10 giugno 1996 gli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP) della Lombardia vennero soppressi e al loro posto furono istituite le Aziende Lombarde per l'Edilizia Residenziale (ALER).
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