La "questione del latte"
Nel suo ruolo di direttore dell’ufficio agrario della Società Umanitaria, Luigi Minguzzi avrà un ruolo molto importante nella soluzione della ”questione del latte” e nel gettare le basi di quella che sarà poi la Centrale del Latte.

Il varo di questo importantissimo ente avverrà nel 1930 e Minguzzi è costretto a “gettare la spugna” un decennio prima. Ma proprio l’impegno da lui dimostrato nell’arrivare alla soluzione di un problema socialmente fondamentale (latte controllato e di buona qualità, municipalizzato, e distribuito alla popolazione a un prezzo ragionevole), richiede una breve digressione su questo punto, anche se ad altri spetta il merito della realizzazione dell’obiettivo (obiettivo che, anche l’Ospedale Maggiore nel suo piccolo, si andava ponendo, e che poi risolse: nel 1914 la direzione medica aveva cominciato a evidenziare la necessità di migliorare l’alimentazione dei degenti, somministrando ai malati latte crudo debitamente controllato e, nel 1917, si provvide a costruire in prossimità della cucina - tra i due corpi di fabbrica del padiglione servizi - il Padiglioncino del Latte, un edificio destinato appositamente alla pastorizzazione del latte, che fu attivo dal 1918).
Milano conta, agli inizi del Novecento, 500mila abitanti, che diventeranno 700mila nell’arco del primo decennio. La sua popolazione cresce, aumentano i consumi, si espande l’industria. Il settore lattiero- caseario, data la vasta area di distribuzione della materia prima, distesa su un’ampia area pianeggiante a ridosso dei rilievi prealpini, è sempre stato vivace e produttivo, ma dà in questo decennio segni di ulteriore incremento. Intorno al 1910 il fabbisogno cittadino è all’incirca di 1200 ettolitri al giorno, per un valore economico di 33mila lire. A produrne tra 1/4 e 1/5 sono 15mila vacche, dislocate su altrettanti ettari di terreno, alloggiate in 222 stalle all’interno del comune; il resto proviene dai comuni limitrofi, talvolta anche esterni alla provincia. Questo è il punto di partenza della filiera.
Il secondo è rappresentato dalle “latterie”, nome con cui si definiva ai tempi qualunque edificio di raccolta e trasformazione del latte: sono 4300 e occupano 15mila persone: la maggioranza, circa il 75%, sono piccoli caseifici privati, un 5% “grandi imprese” in mano a capitalisti privati, il 20% sono “latterie sociali”. Il nome non deve trarre in inganno, perché non necessariamente si tratta di latterie cooperative dalla chiara connotazione politica; vi erano società “turnarie” familiari (che lavorano, a turni di un giorno ciascuna, il latte), precarie e instabili; società turnarie più allargate, le latterie turnarie sociali, che garantivano maggior stabilità, con ambienti di lavorazione in comune e affidati a un casaro salariato; le latterie cooperative in nome collettivo, vero tipo di organizzazione cooperativa, che costituivano un’impresa a tutti gli effetti, con fornitori associati tra loro; e, infine, le latterie cooperative anonime, che avevano sia soci fornitori sia soci capitalisti, azionisti dell’impresa, che dopo la lavorazione della materia prima, ne curavano la commercializzazione con un marchio proprio. Le maggiori d’Italia erano la Latteria Cooperativa Anonima di Lodi e la Latteria Soresinese (CR). Quando nel 1907 si tiene a Reggio Emilia il Congresso Nazionale delle Latterie sociali è questo il modello d’impresa a cui si guarda per la modernizzazione del settore: intorno a questo soggetto di mercato discutono, pensando al futuro, esponenti di primo piano del Partito Socialista e della Lega delle Cooperative, i tecnici di estrazione riformista come Massimo Samoggia e Luigi Minguzzi, esponenti liberali come Massimo Menotti. Il Congresso, per non rimanere inerte di fronte al pericolo della formazione di trust capitalistici speculativi, decreta la creazione di un nuovo soggetto societario, l’Unione delle Latterie, in linea con le idee delle Cattedre Ambulanti di Agricoltura, la Lega Nazionale delle Cooperative e gli ispettorati di caseificio collegati al Ministero dell’Agricoltura. Le poche grandi imprese industriali che si cominciano a prendere piede sono frutto dell’ottima intuizione di alcuni imprenditori che si propongono come abili intermediari tra produzione e mercato e ai quali si deve anche la scoperta, la produzione, la commercializzazione, di nuovi prodotti lattiero-caseari (kefir, yogurt, latte condensato, latte in polvere).
Il terzo anello della filiera sono i “menalatte”, coloro cioè che trasportano il latte in città; dapprima sono soggetti non imprenditoriali, poi lo diventano, quando si costituiscono imprese “importatrici, che fanno incetta della materia prima e si curano del suo trasporto in città e della distribuzione agli esercenti.
Gli esercenti o “lattivendoli” sono il quarto e ultimo segmento della filiera. A Milano, nel primo decennio del Novecento, sono 650.
Una simile frammentazione era origine di numerosi problemi a danno del consumatore: igienico-sanitari; produzione instabile (legata ai capricci delle stagioni e alla produzione dei mangimi); concorrenza dei vari soggetti attivi nei vari passaggi, a cui si cercava di sopperire o incrementando il prezzo del prodotto o abbassandone la qualità.
Le condizioni igieniche delle stalle erano pessime. La salute del bestiame estremamente precaria. La mungitura, manuale, vedeva tra l’abitudine dei mungitori di sputarsi sulle mani durante il lavoro, contribuendo così alla diffusione della tubercolosi. Non certo più asettiche e sicure erano le condizioni del trasporto (esposizione al sole, alla polvere, a microbi e batteri). A ogni tappa della filiera era possibile una sofisticazione e un’alterazione della qualità del prodotto (aggiunta di prodotti chimici, annacquamento, spesso addirittura con l’acqua inquinata dei fossi).
Paradossalmente mentre la bontà del latte inviato alle grandi industrie poteva essere maggiormente garantita dai successivi processi di trasformazione, non così era per il latte destinato al consumo cittadino. Comincia così a farsi strada l’esigenza, da parte autorità pubbliche di creare degli strumenti per garantire un latte “sano” e non sottoposto a fluttuazione di prezzo in senso speculativo. E la soluzione che appare più logica da perseguire è quella dell’intervento dell’autorità pubblica e della municipalizzazione. Un “impresa pubblica” attraverso un “imprenditore politico” avrebbe soddisfatto in maniera adeguata un “pubblico bisogno”. Non è un caso che sia proprio Milano a frasi promotrice di una simile iniziativa, una città in cui anche prima della nascita del Partito Socialista, e a maggior ragione dopo la sua costituzione, molte personalità di primo piano animano vivacemente il dibattito politico ed economico e si impegnano nei confronti della collettività e per il miglioramento delle condizioni sociali dei più deboli. Importantissimi Enti, oltre che singole persone, si occupano del problema: la Reale società d’igiene, la Società Medica lombarda, la Società Agraria di Lombardia, la Cattedra ambulante di Agricoltura, imprenditori che si adoperavano per un miglioramento della qualità del prodotto, veterinari, scienziati. Il “bisogno pubblico” di un latte sano a un prezzo equo e la “necessità di controllo” da parte della pubblica autorità procedono di pari passo. L’avvocato Giovanni Majno è il primo a presentare nel 1905 un “progetto di municipalizzazione del servizio del latte a Milano”. Il progetto non fu attuato, ma agì sicuramente da importante apripista. Da questo momento si assiste, in una città sempre più ricca di fermenti innovativi, all’azione di diverse personalità, che, competenti della materia e avendo a cuore il bene comune, anche se magari diversi per formazione politica, si danno da fare per trovare soluzioni e risposte al difficile problema del latte alimentare milanese. Angelo Menozzi, studioso di chimica applicata all’agricoltura, liberale, assessore all’igiene, sanità e annona, e Massimo Samoggia, socialista, responsabile dell’Ufficio agrario della Società Umanitaria danno vita nel 1908 alla Cooperativa del Latte; nel 1914, la Cooperativa del Latte, investita di maggior potere propositivo dalla giunta socialista Caldara, avanza tra gli altri suggerimenti quello dell’istituzione di una vera e propria Centrale del Latte.
La prima guerra mondiale cambia radicalmente scenari, impegni, prospettive. Nel 1916 nel pieno imperversare del conflitto la questione del latte diventa drammatica, sia per la scarsità del prodotto disponibile, sia per il vertiginoso aumento del prezzo. Ed è a questo punto che a fianco di Samoggia compare Luigi Minguzzi. Insieme al direttore della Cooperativa stila un piano sperimentale di approvvigionamento del latte a Milano, che, mediante l’“istituzione di una o più stazioni di ricevimento” garantisse la distribuzione di almeno 100 ettolitri di latte al giorno a, prezzo calmierato. Il provvedimento è buono, ma si rivela insufficiente. Di fronte a una situazione che si fa sempre più grave, nel 1918, anche per evitare problemi di ordine pubblico, il sindaco avoca a una Commissione speciale prefettizia tutte le facoltà per l’approvvigionamento del latte. La soluzione, dettata dalla situazione emergenziale del momento, non si rivela libera da difficoltà, contrasti, pressioni, malumori. Riesce a funzionare alla meno peggio fino al 1920 quando, a fronte di un ennesimo, esagerato aumento del latte a uso alimentare, proprio Minguzzi, che fino a quel momento era stato il personaggio di maggior spicco della Commissione, anche per i suoi ottimi rapporti con l’Assessorato, si ribella al Prefetto dichiarando che del decreto prefettizio non si debba tenere conto e che, nelle rivendite, il latte debba continuare a essere venduto al solito prezzo. Minguzzi, ovviamente, non la spunta: l’aumento del prezzo del latte diviene operativo, Minguzzi si dimette con una furibonda lettera pubblica e dalla questione del latte esce di scena, con lui, uno dei protagonisti fondamentali, la Società Umanitaria. Ma questo fallimento non fa per fortuna tabula rasa di tutte le istanze, le idee e i progetti che in quegli anni erano andati maturando e che nel decennio successivo troveranno finalmente lo sbocco sperato nella Regio Decreto 9 maggio 1929 in cui vengono stabilite a livello nazionale regole igienico-sanitarie rigorose e norme precise per la refrigerazione, il trasporto, la pastorizzazione e la commercializzazione del latte e si definiscono essenza e scopi delle Centrali del Latte, autorizzando i Comuni a costituirle.
A questo successo civile e sociale hanno contribuito tutte quelle persone che, pur con ideologie diverse, accomunate dalla volontà di essere utili alla collettività, proprio in funzione di un sentito e fortemente auspicato bene comune, si sono trovate disposte a lavorare gomito a gomito, mediare e trovare punti di incontro e di collaborazione.