La "smania" di Michele Fortunato
La decisione di partire
La storia di migrante di Cristoforo Pinto (1837-1915), che da Gioia del Colle in Puglia si trasferì a Milano, non fu una vicenda di povertà e sofferenza. Pinto giunse a Milano in giovane età, dove esercitò la professione di architetto riscuotendo un buon successo. Sposò Carlotta Rosa, lombarda, dalla quale non ebbe eredi e che morì qualche anno prima di lui.
In fin di vita redasse testamento in favore della Congregazione di Carità, che nominò erede universale del suo cospicuo patrimonio. Il testamento però fu impugnato da un nipote dell'architetto, figlio di una delle sue 3 sorelle, Paola maritata Pomes.
Cristoforo mantenne sempre i rapporti con la famiglia d'origine, le sorelle e il fratello, i cognati, i nipoti. Numerosissime infatti sono le lettere personali di Cristoforo, conservate oggi nel fondo Testatori dell'ASP "Golgi Redaelli". Tra queste si distinguono per i contenuti quelle scambiate da Cristoforo con il nipote Michele Fortunato, figlio della sorella Raffaella Pinto in Fortunato. Il tono affettuoso che affiora dalle pagine fa pensare ad una particolare affinità tra zio e nipote, forse generata dall'aver entrambi lasciato la terra di origine per elevare la propria condizione, sviluppando i personali talenti di architetto l'uno e di musicista l'altro.
Casamassima, 13 settembre 1902
Zio Carissimo,
parecchie volte credo che ella abbia avuto notizie di me dai miei, ma oggi voglio parlare io stesso. Sin da quando ho cominciato a farmi grandicello ho tenuto gran voglia di studiare, ma avendomi il cielo messo in una famiglia che non potea appagare la mia smania, ho fatto quanto ho potuto ed alle volte ho toccato il sacrificio; ma eccomi ora con diciannove anni e è tempo che io pensi ad un avvenire migliore. Se mi do alla carriera militare veggo che non c'è più da fare perché si sono aboliti certi strumenti ecc., la più alta paga è di lire trenta al mese, quindi anche a voler continuare sacrificio farei niente, che fare dunque? Decido d'andare in America.
Mia famiglia a tale nuova si sente oppressa, io di carne pure mi trovo a combattere... ma decido d'uccidere il mio cuore sperando un dì di sollevare gli stessi miei. Io sono pure barbiere e siccome là i barbieri guadagnano, posso presentarmi con tal'arte, se Dio poi non m'abbandona potrà farmi fortunato diversamente perché l'età mi favorisce, perciò mi faccio coraggio e stringo il mio flauto. In questo mese intendo di partire altrimenti non si farebbe più a tempo per la stagione. Quando sarò chiamato al soldato, perché mi spetta, se là mi troveranno abile si farà sapere pure qua e per me si presenterà Pietruccio il quale di sua volontà me l'ha detto, e poi non dobbiamo noi sacrificarci? Zio, io non ho voluto uscire fuori senza prima far lei consapevole né credo che la mia lettera le sarà di fastidio; perdoni però al mio ardire e benedica la mia intenzione. Anche lei un dì diè un addio a sua famiglia per trovare una via, so che la sua vita le costò sacrificio ma ella non si perdé d'animo e più fortunato di me questa via la trovò in patria. Ma ciò però non mi tolga il coraggio, no, anzi ad esempio suo abbraccio mia volontà e Dio mi protegga. Se mia condizione me lo permettesse zio, verrei di persona ad abbracciarla e dirle che l'amo proprio quanto un figlio può amare suo padre, ma non posso... Spero di poterlo fare in appresso! Saluto la cara zia alla quale bacio la destra e lei zio, benedico e si riceva gli abbracci sinceri dell'affettuosissimo suo nipote Michele Fortunato
P.S. Non mancherò di darle mie notizie e spero che ella non mi risparmierà le sue. Addio Zio!!
Le prime esperienze americane
Michele giunse negli Stati Uniti il 16 ottobre 1902 a bordo della nave Aller salpata da Napoli. Si stabilì a New York, dove un cugino gli offrì il conforto di una calda ospitalità.
Sono in casa di un mio cugino il quale mi ama come un suo figlio. In quanto al lavoro non ancora ho trovato un posto fisso, ma lo spero fra breve. In questa terra, caro zio, bisogna andare piano per arrivare sani e fare un buon cammino. Soprattutto si sente il bisogno d'acquistarsi molti amici affinché il nome si possa propagare ed allora il lavoro non manca.
(New York, 8 dicembre 1902).
In realtà Michele non procedette poi così "piano": il 23 dicembre sostenne e superò l'esame per essere ammesso come socio effettivo dell'Unione musicale di New York, ottenendo così l'abilitazione a suonare in qualunque orchestra. Già ai primi di gennaio del 1903 venne ingaggiato dall'orchestra diretta dal maestro Giacomo Miglionico, composta in prevalenza da musicisti italiani, per suonare nei luoghi di villeggiatura dello stato della Florida:
Giunsi qui in Miami, dopo un viaggio di tre giorni e mezzo per mare ed uno in treno. Dei professori appartenenti all'orchestra due soli sono tedeschi e gli altri tutti italiani. Il Direttore mi vuole un gran bene, prima perché mi ha capito capace di disimpegnare la parte mia e poi perché mi ha conosciuto molto educato. È in un grandissimo Hotel ove noi prestiamo servizio suonando un'ora la mattina e due la sera. Qui è il punto ove in questi tempi accorre la prima nobiltà americana perché, quandunque si è inverno pure il clima dell'aria è molto caldo. Ora s'immagini un po' il lusso che c'è al solo calcolare che un solo signore porta l'esito di una cinquantina di scudi al giorno, ed anche dippiù. Da noi musicanti la vita si passa bene perché oltre ai buoni trattamenti che abbiamo, siamo da tutti stimati e rispettati.
(Miami, Biscayne Bay, Florida 10 marzo 1903)
L'esperienza a Miami durò 11 settimane: al termine dell'ingaggio Michele fece ritorno a New York, in cerca di una nuova scrittura.
Partecipò quindi insieme ad altri 16 flautisti ad un concorso indetto dall'Unione musicale di New York per 2 posti in orchestra. Lo vinse insieme ad un collega spagnolo ed entrò a far parte dell'orchestra del Waldorf Astoria Hotel.
Il luogo ove la nostra orchestra fa servizio è il punto più aristocratico di New York e pure degli Stati Uniti; io anche per questo sono molto soddisfatto, perché ormai ho la combinazione di passare diverse ore al giorno in un ambiente nobile. Il direttore mi vuole un gran bene e mi ha promesso di farmi lavorare a lungo; io non manco fare il mio dovere; mi faccio onore ogni tanto col suonare qualche pezzo da concerto e con questo guadagno pure la stima di quanti mi conoscono. Carissimo zio, spero che la presente non le sarà di fastidio, io non posso tacerle i miei successi giacché sento in me una cosa che al cuor suo mi lega e ne godo, però per farmi degno di lei le prometto che mi farò tanto onore da meritarmi davvero il caro nipote.
(New York, 28 agosto 1903)
Una nuova vita insieme
La stabilità economica e la prestigiosa posizione sociale raggiunta permisero a Michele di richiamare a sé la famiglia di origine. Il fratello Pietruccio fu il primo a imbarcarsi per l'America, nel 1904, sollecitato dai successi del fratello. Lo seguirono poco tempo dopo le sorelle Giuseppa, Giovanna e Maria accompagnate dai genitori.
La famiglia di Fortunato si riunì quindi nell'estate del 1906 a Manhattan nella spaziosa abitazione di Mapes avenue nel Bronx.
La voglia di lavorare in me cresce sempre più specie ora che mi tocca guardare i bisogni della famiglia che mi circonda ed a cui penso con piacere. Se una sua lode giungerà fin qui sarà una nuova spinta all'aiuto della stessa.
Mio fratello Pietruccio sin'ora ha sempre lavorato come barbiere in un salone magnifico; al nuovo anno è quasi certo, a mezzo d'un caro amico nostro, prenderà parte in un grande laboratorio ove guadagnerà dippiù e farà tutt'altro che il barbiere. Le sorelle anche loro principiano a farsi strada, per ora si guadagnano bene la vita in appresso si spera assai meglio. I genitori, grazie all'Altissimo, quandunque d'età avanzata, pure stanno bene nonostante questo clima d'aria assai differente dal nostro.
(New York, 15 dicembre 1906)
La serenità familiare dei Fortunato fu accresciuta dal matrimonio di Michele con Giovannina Torretta, nel 1908 e dalla nascita di una figlia, Raffaellina, delle quali scrive allo zio Cristoforo in una affettuosa lettera datata 23 agosto 1909, mentre si trova ancora in turnè lontano da casa:
Carissimo zio,
Non si meravigli del mio silenzio; sono stato occupatissimo e non mi piaceva scriverle in fretta.
Da parecchie settimane sono in Saratoga-Springs; da qui finalmente posso inviarle una mia a cui, se Ella si degnerà rispondere potrà spedirla a New York ove tornerò fra breve. (…)
A mamma che restava sola in casa pensai di darle l'aiuto d'una onesta e bella ragazza dal nome Giovannina che prese il posto di mia moglie. Questa poi due mesi fa ci diede un angelo (Raffaelina) che, perché nuova arrivata, ha portato la gioia; ed infatti i genitori credono sia venuta da essi; il fratello e le sorelle la sera non vedono il momento di rincasare e così mi scrivono dei passi. Chi dice che parla, chi dice che ride e canta, chi che suona il piano, insomma, secondo essi, pare nato il nuovo fenomeno tanto che i loro scritti mi rallegrano.