Mounumento_Specific Verdi

Monumento a Giuseppe Verdi, Milano 1908 – 1913

di Enrico Butti


Il monumento a Giuseppe Verdi è antistante un edificio progettato dall’architetto Camillo Boito: la struttura in stile neogotico è la Casa di riposo per cantanti e musicisti «che si trovino in povertà», pensata, voluta e donata alla città da Giuseppe Verdi, che vi è sepolto insieme alla seconda moglie Giuseppina Strepponi.
Giuseppe Verdi scrisse:
«Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Poveri e cari compagni della mia vita! Credimi, amico, quella Casa è veramente l’opera mia più bella».

Sono innumerevoli gli esempi di benefattrici e benefattori che già dal Medio Evo si sono spesi per il prossimo: tra i tanti  possiamo ricordare l’opera caritatevole di Madre Virginia Besozzi, l’impegno di Laura Visconti di Modrone Ciceri, la visione emancipatrice di Costanza Sullam in Rignano. Un’altra vicenda è ricordata dalla targa in marmo, dedicata al commendatore Giuseppe Levi, murata all’esterno dell’edificio di via Cicco Simonetta n° 15: il benefattore, nel 1904, donò la casa al Comune di Milano per farla diventare un luogo dove assistere «i poveri senza tetto»; l’edificio di 5 piani, poco adatto allo scopo, fornì le risorse patrimoniali necessarie alla costruzione dei Ricoveri notturni gratuiti di via Soave.

Giuseppe Verdi dall’alto del piedistallo, con il suo sguardo bonario, lancia un monito a tutti i milanesi perché non dimentichino la tradizione filantropica della città che si può riassumere nel detto meneghino: Milan col cœur in man, Milano con il cuore in mano.


Una recente indagine rivela dati allarmanti! Il monumento a Giuseppe Verdi è malato.
Essere esposto 24 ore su 24 nel bel mezzo di una rotonda particolarmente trafficata, non è salutare: purtroppo l’azione degli agenti atmosferici e degli inquinanti stanno accelerando il degrado della scultura.
Inoltre difficilmente ci si può avvicinare all’opera di Enrico Butti senza rischiare di rimanere investiti da un’auto in corsa.
L’isolamento in cui versa il monumento a Giuseppe Verdi richiama l’incipit del testo “L’inverno” dello scrittore milanese Emilio De Marchi pubblicato nel 1902.

Credits. Immagine Verdi: Simona Da Pozzo. Testo “Monumento a Giuseppe Verdi”: Alvise Campostrini

Milan e pœu pu, se dis. Nûn gh’èmm la Scala, el Sempion, el Domm, la Galleria. Gh’èmm i tram, la lûs elèttrica, l’ospedaa… i forestee che vègnen de lontan, veduu Milan, conten cent meravili di noster micchett, del noster paneton e della confusion che se mœuv per i strad e della gent rotonda e lustra che va attorna.

Milan e pœu pu!, ma quanti strasc, Signor, quanti dolor de dree de la vedrina!, quanti cruzi, Signor, in sto Milan per on crostin de pan! E per on bel paltà, per ona pelliscia bella, ricamada, oh quanto bitto, oh quanta pèll strasciada e desquatada!

No, no, fiœu, lassèmm de part la bàgola de credes nûn la capital del ghell. Guardèmm in fond al cœur, in fond dove ne dœur. L’è chì l’inverno, l’è chì el grison col sò fà de poverett raccatton, col sò tabâr d’acqua sporca, l’è chì el brutt vecc tutt frecc, regnaccaa, dannaa, coi scarp strasciaa; l’è chì el fradell de la fèver, el pà di miserî, el cugnaa de la mort.

Milano e poi più, si dice. Noi abbiamo la Scala, l’arco del Sempione, il Duomo, la Galleria. Abbiamo il tram, la luce elettrica, l’Ospedale Maggiore… I forestieri che vengon da lontano, dopo aver visto Milano raccontano cento meraviglie delle nostre pagnottelle, del nostro panettone e della confusione che è nelle strade, e
della gente tonda e lustra che va in giro.

Milano e poi più! Ma quanti cenci, Signore, quante miserie dietro la vetrina! Quanti crucci, Signore, in questa Milano, per una crosta di pane! E per un bel cappotto, per una bella pelliccia, ricamata, oh quanta gente nuda, quanta pelle lacera e scoperta.

No, no figlioli, mettiamo da parte la frottola di crederci la capitale della ricchezza. Guardiamo in fondo al cuore, in fondo a dove ci fa male. È qui l’inverno, è qui l’uomo canuto col suo modo di poveretto che accatta, col suo tabarro d’acqua sporca, è qui il brutto vecchio tutto infreddolito, rattrappito, dannato, con le scarpe rotte; è qui il fratello della febbre, il padre della miseria, il cognato della morte.